ML PATRIOTA Arte, Letteratura $ jf (THE PATRIOT) Soiexiza, LJUÌ * È L'INEVITABILE Novella di guerra di Onorato Fava Alberto Gori attendeva l'lnevi tabile. Non un lampo di ribellio ne nei suoi occhi, non un raggio di speranza nella sua anima inerte. Con le braccia piegate e le labbra chiuse, egli aspettava che scoccas se l'ora tragica del suo destino. Non sapeva che còsa sarebbe acca duto dopo. Sapeva solo che non poteva ribellarvisi e che avrebbe dovuto accettare l'lnevitabile. Sa peva pure che esso non era che la conseguenza logica del passato. E questo passato gli ritornava dinan zi agli occhi, preciso, limpido, pu ro senza dargli nell'ora suprema, alcun rimorso. E ancora rivedeva sua padre morente, rivedeva il suo sguardo di supplice rimprovero, riudiva una dopo l'altra, come se fossero pronunziate ora al suo o recchio le parole del caro perdu to e non una di esse riusciva a strappargli dall'anima un pensie ro di pentimento. Quelle parole le aveva giudicate, allora, vane fi sime, conseguenza di una ostina zione alla quale egli non poteva piegarsi. Erano cosi dolci gli oc chi azzurri di Berta Siebeck cosi pura la piccola fronte incornicia ta dalle due bande di capelli d'oro cosi promettente il sorriso che fio riva sulle fresche labbra! La fe licità sua era tutta li in quegli oc chi, che gli dicevano tante cose coi loro lunghi sguardi, in quell'- anima che gli offriva tutto il pro fumo del suo amore. Quando Al berto Ea prese per mano, e la con dusse all'altare gli occhi di suo padre erano già chiusi per sem pre e non videro. Forse, se aves sero potuto vedere raggiare sui due visi la letizia della felicità raggiunta, si sarebbero, vinti anch' essi, chinati a benedire. E i giorni i mesi trascorsero nel dolce oblio di ogni cosa che non fosse l'amore avvincente le anime e i tre anni passati parvero una realtà deliziosa. Invece essi non erano stati che un sogno, ed ecco giunta inesorabile l'ora del brusco risveglio. Subitamente cadde dall'animo di Alberto ogni illusi one. La realtà cominciava <ora paurosa, spietata come una puni zione per lui che non aveva volu to ascoltare il consiglio di suo pa dre. Dal momento che ebbe que sta convinzione, si chiuse in sé stesso. A Berta non disse nulla del travaglio che gli era entrato nell'anima. Quando lei, a volte, lo interrogava con gli occhi azzur ri, egli non sapendo ancora resi stere a quella supplicazione muta volgeva altrove lo sguardo e si sforzava di irrigidire il viso in una espressione di durezza. Una sera freddamente le disse: —Berta, é scoppiata la guerra fra i nostri due paesi. Ella non rispose e guardò suo marito, aspettando : —Ami molto la tua Patria? —le domandò ancora. —Si, —mormorò lei in un soffio —Anch'io amo la mia e sarò chi amato a difenderla e mi batterò contro gli austriaci. —Perché ? Alberto ebbe un lieve moto di stizza. —Che domanda mi fai? Sai be ne che non hai sposato un vigliac co. Io amo l'ltalia. E tu mi di cevi che, amando me, avevi impa rato ad amare il mio bel paese. Non é dunque vero forse? —Anche tu, se mi vuoi bene, non dovresti prendere le armi contro il paese dove son nata. Pensa che laggiù vi sono i miei genitori, vi é mio fratello, che serve la patria. Mi hai voluta con te ed io sono ve nuta lieta al tuo fianco fiduciosa nel tuo amore. E ora mi lascere sti cosi? Non é poi necessario che tu vada a combattere. Non sei soldato tu. —Siamo tutti sodati quando c'é la guerra. E io sarei un vile se ri fiutassi. . —Dio, mio, pensaci, Alberto supplicava lei —questa guerra é li na sciagura é la distruzione della nostra felicità per sempre. —Lo so, Berta, é una cosa ine vitabile. Ella tacque con le pupille smar rite nella fosca visione di ciò che stava per accadere. Venne la chiamata alle armi e Alberto Gori fu arruolato col gra do di tenente nel 3.0 battaglione degli alpini. Accompagnò Berta sino alla pic cola stazione di Cormona. Ella ri tornava a casa sua, presso i suoi vecchi. Egli non volle vederli. Ba ciò le labbra fredde ed esangui di lei e dal finestrino del treno le mandò un ultimo saluto. —Coraggio, Berta, ci rivedremo presto. Quando il treno disparve lonta no. la giovine donna si senti man care come se tutto le crollasse din torno per sempre. Alberto la vide ritta sul marcia piede, immobile statua del dolore, e ricadde sul sedile provando den tro uno spasimo acuto che gli tra figgeva il cuore. Era finito tutto lo sentiva. L'unico affetto gran de della sua vita era spezzato, la sua esistenza stessa era infranta per sempre. Berta era morta per lui. Se anche fosse ritornato vis torioso, alla testa dei suoi soldati, a redimere la piccola città Berta non gli sarebbe venuta incontro, come tante volte era venuta con gli occhi luimnosi e la bocca riden te. Berta non era più sua moglie. La guerra aveva rotti brutalmen te i legami creduti indissolubili. Ella era una nemica per lui egli era un nemico per lei. per i suoi vecchi, per suo fratello. Era giu sto. Potevano soffocarsi gli. istin ti del sangue? Poteva pretendersi da lei un sacrifizio superiore alle forzbe umane? Era stato capace lui di tanto? di sacrificare per lei la patria? La gravità dell'errore commesso ripiombava sul suo ca po a schiacciarlo. E gli occhi sup plici del caro perduto gli riappar vero dinanzi vivi, umidi di pietà ora. L'animazione febbrile che trovò al campo lo stordi, l'entusiasmo delirante dei soldati, il balenio del le armi i primi colpi di fucile, il rombo del cannone il fumo della polvere lo übbriacarono, accesero nel suo sangue fremiti nuovi. Quando ebbe l'ordine di partire, chiamò a raccolta i suoi uomini e si avviò sulle balze delle montagne che egli conosceva cosi bene. In nanzi a sé gli emblemi degli anti chi confini cadevano rotti, schian tati, travolti. Degli uomini sorge vano improvvisamente nelle curve, tiravano dei colpi all'impazzata, indietreggiavano, delle teste riap parivano dietro gli speroni del monte, con espressioni truci nelle linee dure dei visi. □ Sabato, 8 Decembre 1917 a | Apparivano i primi casolari ab ! bandonati dagli abitanti le terre devastate dagli austriaci, che, nel ritirarsi, sfogavano sulle coste il loro livore feroce. Cadeva la notte. Fu ordinata una sosta. La mattina seguente all'alba, bisognava avanzare all'- occupazione della città. Sdraiati a terra, sotto i dirupi, nei fossi tra le siepi, coi fucili a fianco o stretti nel pugno, i soldati, esausti dall'- aspro cammino, riposavano. Al berto non poteva dormire. Ve deva laggiù, emergente nelle tene bre- 1 come un fiore rosso, la villa Siebek, dove Berta attendeva. E cercava di penetrare i pensieri di lei in quell'ora, accanto ai suoi vecchi, e un impeto di rivolta lo faceva sobbalzare. Per chi prega va ella ? Oh aveva ben visto il lampo improvviso balenato nelle pupille azzurre quando egli le a veva chiesto se amava il suo pae se. Esi era lusingato in una spe ranza, che era crollata di un col po per sempre. Non sapeva che cosa sarebbe stato dopo, se si sa rebbero riveduti, ma aveva la cer tezza che l'anima di lei non era più sua. All'alba il battaglione fu in pie di e cominciò la discesa. Ad uno svolto della vita una ca sa rossa dominava il passaggio. Al berto scorse di lontano un balcone aperto e due uomini in piedi, coi moschetti appoggiati alla spalla. Più innanzi, li distinse nettamen te, li riconobbe, un vecchio col vi so accesso, la barba grigia, un gio vane alto con baffi rossi. Due colpi echeggiarono dall'al to del balcone. Un soldato alpino cadde, boccheggiando nel sangue, ai piedi del tenente.- Questi si ferino, stette un istan te in una incertezza angosciosa, poi volse indietro il viso pallido e ordino : —Fuoco ! In quel punto apparve improv visamente al balcone, fra i due u omini, una figura bianca, che il so le avvolse in un'aureola di luce. Si udi il crepitio simultaneo di venti fucili e i tre colpiti caddero riversi sulla lastra dei balcone. li na mano femminile spenzolò tra i ferri come per un supremo addio. Alberto dovette appoggiarsi al braccio di un soldato e il battagli one si allontanò per la via polve rosa. Cinque giorni dopo, nell'epico assalto di Montenero, un ufficiale, con audacia folle si lanciava all' avanguardia, conquistando una cima. Yi stette incitando i suoi ragazzi al grido di "Viva l'ltalia" finché fu colpito da una palla in pieno petto. Allora finalmente il viso pallido e triste gli si illuminò di una luce nuova, come di reden zione. E il suo spirito, assorto- in una visione lontana, pareva formirPS se l'intimo pensiero : —Muoio non per te. Berta, ma per un'idea grande, per la quale tu sei morta, un'ldea più grande del mio amore più grande del tuo amore. ONORATO FAVA. Assicurazioni SUL FUOCO COMPENSAZIONI ACCIDENTI FURTI VITA AUTOMOBILI. ETC. 677 PhiladefPhiaSt.. Indiana,Pa. Clarence R. Smith t La Fuga Entro Una Cassa Fra le fughe tentate da prigio | nieri di guerra uno dei posti più singolari tocca a quella ideata dall aspirante ufficiale italiano. Silvio i Farina, un giovanissimo lombar do di Turago-Bordone (Pavia), i I cui genitori abitano a Milano in via Lecco, 8; la madre é maestra comunale a Turro Milanese. —La- scito dal corso aspiranti ufficiali di Campolongo ai primi di maggio di quest'anno e subito ingaggiato nelle operazioni di guerra poco do 1 po—il 23 maggio—cadde prigioni jero. —La triste avventura tu da ! lui narrata in una lettera alla fa- | miglia in cui diceva: ebbi sorpassata la seconda linea jnemica, m'incontrai con pochi sol dati ed un capitano del... fanteria. | Riuniti continuammo l'avanzata, mentre una mitragilatrice nemica ci falciava ; giunti in pochissimi presso una dolina anche il capite llo fu colpito da una pallottola so pra il cuore. Mi stramazzò ai piedi sanguinante. Mi chiamò emi dis se : "Mi sento presso a morire - tu andrai da mia madre o le scrive rai. "E mi diede l'indirizzo d- 1« i. Trascinai poscia il ferito nel fon do della dolina e, fatta improvvi sare dai soldati una barella su cui ponemmo teli da tenda e coperte trovati in un baracchino austriaco, ve l'adagiai. Si attendeva la se ra per poter rientrare nelle nostre linee; ma poco dopo eccoci circon dati da un nugolo di nemici, nell'- impossibilità di difenderci. Fum mo |fatti prigionieri. Potei scorta' re il mio capitano fino al posto di medicazione ove venne dichiarato in pericolo di vita ; poi fui costret to a lasciarito e seguii la mia sorte " —Quel ferito era il capitano Val meri di Modena; l'incarico che il Farina lasciava alla propria ma dre era di scrivere alla madre di lui per inviargli il suo ultimo sa luto Ma si seppe poi che il Valme ri potè essere salvo. L'episodio si svolgeva nell'aspra regione di Castagnevizza. Da al lora il giovane prigioniero pere grinò fra il codazzo dei suoi com pagni di sventura, di stazione in stazione, finché ai primi di giugno arrivò al campo dei prigionieri di guerra di Mauthausen sul Danubio Fu uno dei nostri reduci dalla pri gionia atroce, che narrò come il Farina, invaso dal desiderio acre di tornare in Italia, ideò la fuga. Nessuno ne era stato messo a par te. Il narratore stesso —un uffi ciale del Regio esercito, compreso nella schiera dei liberati —non ne fu a cognizione che a fatto com piuto e fu lui a riferire il roman zesco tentativo a chi gliene chiese notizia in seguito a qualche vago accenno dato da giornali. Il racconto del fuggiasco. —Volete sapere come si svolse l'evento ? —egli disse.— Eccovelo come me l'ebbe ad esporre il Fa rina stesso un bel giovane, raccol to ed ardito, pensoso e deciso. — '*ll 5 agosto, una domenica, fra gli avvisi esposti nella mia barac ca a Mauthausen notai in un ordi ne del giorno le seguenti parole: "Domani i sottonotati signori uf ficiali prigionieri di guerra, dichi arati invalidi da Commissione su periore. dovranno consegnare per le ore 8. alla cancelleria, i baga gli. e teneri pronti per la parten za alle ore 16." In un altro era detto: <; I signori ufficiali prigio nieri di guerra già destinati per il campo di Heveninsgeren dovran no consegnare per le ore 10 le va ligie, e la partenza sarà alle ore 8 ant. " Vi sarebbe stata quindi una gran confusione, e sarebbe man cato agli austriaci il tempo di at tendere al giornaliero appello. Mi balenò in testa una idea; la fuga; e girando frettolosamente attorno ai reticolati che mi circondavano progettai il mio piano. 4 'Avendo poco tempo da perde re sbrigai alcuni piccoli affari, in di acquistai al magazzeno una grossa cassa facendola accomoda re alla meglio da un mio atten dente. Alla sera non andai a men sa pensando bene di tenermi leg gero per il viaggio. Il mattino del 6, verso le 7, mi misi entro la cas sa con indosso solo camicia e mu tande, mettendo la diagonale in un sacchetto da pane della Croce Rossa, per servirmene come guan ciale. Chiusi la cassa dall'interno e mi feci portare in cancelleria, ove dopo che l'ufficiale austriaco ebbe guardato l'indirizzo (che era quello di un partente), venni mes so sopra un carra e trasportato al a stazione. Dopo essere stato col la testa ali 'ingiù per una decina di minuti, e per più di due ore all' acqua, che entrava dalle fessure, praticate per facilitare la respira zione, mi sentii sollevato e carica to in un bagagliaio. Nella posizi one in cui fui messo stavo magni ficamente bene. Attesi parecchio tempo, finalmente verso le 17 il treno si mosse; e cosi cominciò il viaggio. "Ah! quanti proponimenti, quanti castelli in aria ebbi a fare là dentro! Ma dopo un po' di per corso lo sconquasso della cassa en tro il vagone mi fece sentire tutte le ossa rotte; incominciavo a su dare, ebbi a patire febbre. Ogni qualvolta mi sentivo la gola essic cata, sorseggiavo un po' d'acqua che tenevo nella boraccio. Dal mio stretto ed incomodo rifugio, dis tinguevo benissimo quando il tre no passava sovra i ponti o sotto le gallerie; ad ogni stazione princi pale sentivo la porta del vagone cigolare sulle rotelle ed aprirsi." Qualcuno viene per spiare"—di cevo fra me —e allora mi tenevo immobile e zitto. Allorquando il treno riprendeva la corsa, respi ravo con fiducia. > Il terrore della morte. "Il peggiore guaio mi accaddo alla stazione austriaca ove gli in validi vengono fatti consuetamen te sostare per circa un giorno in attesa del treno della Croce Rossa Svizzera su cui devono trasborda re. Trasbordarono, naturalmen te, anche i bagagli, onde la cassa ov'io ero rinchiuso venne tolta dal \ agone e deposta nella sala d'at spetto di 3' classe, ove avrei dovu to attendere sino all'indomani se ra. Sventura volle che i facchini addetti al trasporto mettessero la mia cassa sotto a tutte le altre, es sendo essa la più voluminosa, ma, oltre a ciò. vi accatastarono tutt'- intorao bauli e f valigie cosicché dopo non molto mi accorsi che nel mio rifugio dalle fessure non en trava più aria. Il terrore d'una I morte crudele cominciò ad impos sessarsi di me. 110 resistito più che ho potuto; ma finii col sentir mi agli estremi, arsa la gola, im possibile la respirazione. Dispe rato mi mordevo le dita, per non j gridare. Quando pensai che il gri- 1 dare potesse essere l'unica mia salvezza, il grande silenzio che sentivo tutt 'attorno mi rese eerto ! elle doveva essere tarda notte e elle quindi le mie grida non sareb bero state udite. Caddi in ima specie di atonia durante la quale 11011 sentivo più nulla. Poscia mi riebbi. Aiutato dalla forza della disperazione smossi col dorso il coperchio della cassa malgrado i parecchi quintali che vi erano so pra, e misi fra il coperchio e la 'cassa una scarpa, cosicché un po' d'aria potesse entrare, poscia con della carta feci un imbuto che ten ni in bocca dal lato più stretto ap poggiandolo alla fessura dal lato maggiore per poter respirare un po' meglio. Ma l'aria mi giungeva cosi scarsa e la mia posizione s'era resa cosi disperata che, trascorse alcune ore, un grido irresistibile mi usci dalla strozza. Udii una voce sgomenta chiedere immedia tamente: "Chi é?!"—"Un uffi ciale italiano"—risposi. "Segui un breve silenzio; poi l'ignoto mio interlocutore —ch'era uscito evidentemente a chiamare altri—si die con essi a spostare i bauli ch'eran sopra la mia cassa. Era un lavoro affrettato e disor dinato come di ehi abbia paura. Ma quando la cassa fu allo scoper to nessuno osò aprirla. Fui io a far forza dall'interno sul coper chio per uscire. Ritorno e Mauthausen. "Ero tutte stordito; ma con mio» grande stupore non vidi nessuno li presso, tutti erano scappati dal la sala. A stento mi trascinai nel mezzo di essa e mi sdraiai per ter ra. Un orologio era sulla parete? segnava le 7. Per due giorni pre cisi ero stato chiuso in quel Rimasi solo oltre un quarto d'ora; le finestre e gli usci erano tutti chiusi. I*ol, si presentò nella sala un ufficiale austriaco, il quale mi rivolse con durezza alcune do mande; indi m'ordinò di vestirmi e mi fece condurre qui." Questo il racconto fatto dal Fa rina nei locali delle scuole comu nali ove era stato condotto ed ove si trovò cui nostri invalidi di guer ra, ivi pure ricoverati in attesa di compiere in ferrovia l'ultima tap pa. La sua desolazione raggiunse il colmo quando apprese dai com patrioti di essere appena ad un'- ora dalla frontiera. Rifocillato e messosi in forze egli ideò un nuo vo tentativo di fuga. Parve rius cire, ma sul più bello si trovò da \anti a una sentinella con baionet ta inastata al cui grido d'allarme altri soldati accorsero che circon darono il fuggiasco e lo rinchiu sero in un gabinetto appartato per essere immediatamente rinviato a Mauthausen. —E la punizione?—chiedemmo. —La punizione consueta pei pri gionieri di guerra che tentano la fuga é l'arresto di rigore per tren ta giorni consecutivi. Consta, pe rò, che ricorrendo in quei giorni il genetliaco del nuovo imperato re austro-ungarico, le punizioni militari vennero condonate ed il Farina ebbe a fruire a sua volta di questa specie d'amnistia. Ma neppure questa piccola fortuna fu di conforto al Farina. In una sna lettera successiva egli infatti scri veva : "Ed ora nuovamente m r ~ aggiro fra i reticolati! Ah quanta é dura questa doppia prigionia t**
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