The patriot. (Indiana, Pa.) 1914-1955, December 08, 1917, Image 5

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    ML PATRIOTA Arte, Letteratura $
jf (THE PATRIOT) Soiexiza, LJUÌ
* È
L'INEVITABILE
Novella di guerra di Onorato Fava
Alberto Gori attendeva l'lnevi
tabile. Non un lampo di ribellio
ne nei suoi occhi, non un raggio di
speranza nella sua anima inerte.
Con le braccia piegate e le labbra
chiuse, egli aspettava che scoccas
se l'ora tragica del suo destino.
Non sapeva che còsa sarebbe acca
duto dopo. Sapeva solo che non
poteva ribellarvisi e che avrebbe
dovuto accettare l'lnevitabile. Sa
peva pure che esso non era che la
conseguenza logica del passato. E
questo passato gli ritornava dinan
zi agli occhi, preciso, limpido, pu
ro senza dargli nell'ora suprema,
alcun rimorso. E ancora rivedeva
sua padre morente, rivedeva il suo
sguardo di supplice rimprovero,
riudiva una dopo l'altra, come se
fossero pronunziate ora al suo o
recchio le parole del caro perdu
to e non una di esse riusciva a
strappargli dall'anima un pensie
ro di pentimento. Quelle parole
le aveva giudicate, allora, vane fi
sime, conseguenza di una ostina
zione alla quale egli non poteva
piegarsi. Erano cosi dolci gli oc
chi azzurri di Berta Siebeck cosi
pura la piccola fronte incornicia
ta dalle due bande di capelli d'oro
cosi promettente il sorriso che fio
riva sulle fresche labbra! La fe
licità sua era tutta li in quegli oc
chi, che gli dicevano tante cose
coi loro lunghi sguardi, in quell'-
anima che gli offriva tutto il pro
fumo del suo amore. Quando Al
berto Ea prese per mano, e la con
dusse all'altare gli occhi di suo
padre erano già chiusi per sem
pre e non videro. Forse, se aves
sero potuto vedere raggiare sui
due visi la letizia della felicità
raggiunta, si sarebbero, vinti anch'
essi, chinati a benedire.
E i giorni i mesi trascorsero nel
dolce oblio di ogni cosa che non
fosse l'amore avvincente le anime
e i tre anni passati parvero una
realtà deliziosa. Invece essi non
erano stati che un sogno, ed ecco
giunta inesorabile l'ora del brusco
risveglio. Subitamente cadde
dall'animo di Alberto ogni illusi
one. La realtà cominciava <ora
paurosa, spietata come una puni
zione per lui che non aveva volu
to ascoltare il consiglio di suo pa
dre. Dal momento che ebbe que
sta convinzione, si chiuse in sé
stesso. A Berta non disse nulla
del travaglio che gli era entrato
nell'anima. Quando lei, a volte,
lo interrogava con gli occhi azzur
ri, egli non sapendo ancora resi
stere a quella supplicazione muta
volgeva altrove lo sguardo e si
sforzava di irrigidire il viso in una
espressione di durezza.
Una sera freddamente le disse:
—Berta, é scoppiata la guerra
fra i nostri due paesi.
Ella non rispose e guardò suo
marito, aspettando :
—Ami molto la tua Patria? —le
domandò ancora.
—Si, —mormorò lei in un soffio
—Anch'io amo la mia e sarò chi
amato a difenderla e mi batterò
contro gli austriaci.
—Perché ?
Alberto ebbe un lieve moto di
stizza.
—Che domanda mi fai? Sai be
ne che non hai sposato un vigliac
co. Io amo l'ltalia. E tu mi di
cevi che, amando me, avevi impa
rato ad amare il mio bel paese.
Non é dunque vero forse?
—Anche tu, se mi vuoi bene, non
dovresti prendere le armi contro
il paese dove son nata. Pensa che
laggiù vi sono i miei genitori, vi
é mio fratello, che serve la patria.
Mi hai voluta con te ed io sono ve
nuta lieta al tuo fianco fiduciosa
nel tuo amore. E ora mi lascere
sti cosi? Non é poi necessario che
tu vada a combattere. Non sei
soldato tu.
—Siamo tutti sodati quando c'é
la guerra. E io sarei un vile se ri
fiutassi.
.
—Dio, mio, pensaci, Alberto
supplicava lei —questa guerra é li
na sciagura é la distruzione della
nostra felicità per sempre.
—Lo so, Berta, é una cosa ine
vitabile.
Ella tacque con le pupille smar
rite nella fosca visione di ciò che
stava per accadere.
Venne la chiamata alle armi e
Alberto Gori fu arruolato col gra
do di tenente nel 3.0 battaglione
degli alpini.
Accompagnò Berta sino alla pic
cola stazione di Cormona. Ella ri
tornava a casa sua, presso i suoi
vecchi. Egli non volle vederli. Ba
ciò le labbra fredde ed esangui di
lei e dal finestrino del treno le
mandò un ultimo saluto.
—Coraggio, Berta, ci rivedremo
presto.
Quando il treno disparve lonta
no. la giovine donna si senti man
care come se tutto le crollasse din
torno per sempre.
Alberto la vide ritta sul marcia
piede, immobile statua del dolore,
e ricadde sul sedile provando den
tro uno spasimo acuto che gli tra
figgeva il cuore. Era finito tutto
lo sentiva. L'unico affetto gran
de della sua vita era spezzato, la
sua esistenza stessa era infranta
per sempre. Berta era morta per
lui. Se anche fosse ritornato vis
torioso, alla testa dei suoi soldati,
a redimere la piccola città Berta
non gli sarebbe venuta incontro,
come tante volte era venuta con
gli occhi luimnosi e la bocca riden
te. Berta non era più sua moglie.
La guerra aveva rotti brutalmen
te i legami creduti indissolubili.
Ella era una nemica per lui egli
era un nemico per lei. per i suoi
vecchi, per suo fratello. Era giu
sto. Potevano soffocarsi gli. istin
ti del sangue? Poteva pretendersi
da lei un sacrifizio superiore alle
forzbe umane? Era stato capace
lui di tanto? di sacrificare per lei
la patria? La gravità dell'errore
commesso ripiombava sul suo ca
po a schiacciarlo. E gli occhi sup
plici del caro perduto gli riappar
vero dinanzi vivi, umidi di pietà
ora.
L'animazione febbrile che trovò
al campo lo stordi, l'entusiasmo
delirante dei soldati, il balenio del
le armi i primi colpi di fucile, il
rombo del cannone il fumo della
polvere lo übbriacarono, accesero
nel suo sangue fremiti nuovi.
Quando ebbe l'ordine di partire,
chiamò a raccolta i suoi uomini e
si avviò sulle balze delle montagne
che egli conosceva cosi bene. In
nanzi a sé gli emblemi degli anti
chi confini cadevano rotti, schian
tati, travolti. Degli uomini sorge
vano improvvisamente nelle curve,
tiravano dei colpi all'impazzata,
indietreggiavano, delle teste riap
parivano dietro gli speroni del
monte, con espressioni truci nelle
linee dure dei visi.
□ Sabato, 8 Decembre 1917 a
| Apparivano i primi casolari ab
! bandonati dagli abitanti le terre
devastate dagli austriaci, che, nel
ritirarsi, sfogavano sulle coste il
loro livore feroce.
Cadeva la notte. Fu ordinata
una sosta. La mattina seguente
all'alba, bisognava avanzare all'-
occupazione della città. Sdraiati
a terra, sotto i dirupi, nei fossi tra
le siepi, coi fucili a fianco o stretti
nel pugno, i soldati, esausti dall'-
aspro cammino, riposavano. Al
berto non poteva dormire. Ve
deva laggiù, emergente nelle tene
bre- 1 come un fiore rosso, la villa
Siebek, dove Berta attendeva. E
cercava di penetrare i pensieri di
lei in quell'ora, accanto ai suoi
vecchi, e un impeto di rivolta lo
faceva sobbalzare. Per chi prega
va ella ? Oh aveva ben visto il
lampo improvviso balenato nelle
pupille azzurre quando egli le a
veva chiesto se amava il suo pae
se. Esi era lusingato in una spe
ranza, che era crollata di un col
po per sempre. Non sapeva che
cosa sarebbe stato dopo, se si sa
rebbero riveduti, ma aveva la cer
tezza che l'anima di lei non era
più sua.
All'alba il battaglione fu in pie
di e cominciò la discesa.
Ad uno svolto della vita una ca
sa rossa dominava il passaggio. Al
berto scorse di lontano un balcone
aperto e due uomini in piedi, coi
moschetti appoggiati alla spalla.
Più innanzi, li distinse nettamen
te, li riconobbe, un vecchio col vi
so accesso, la barba grigia, un gio
vane alto con baffi rossi.
Due colpi echeggiarono dall'al
to del balcone. Un soldato alpino
cadde, boccheggiando nel sangue,
ai piedi del tenente.-
Questi si ferino, stette un istan
te in una incertezza angosciosa,
poi volse indietro il viso pallido e
ordino :
—Fuoco !
In quel punto apparve improv
visamente al balcone, fra i due u
omini, una figura bianca, che il so
le avvolse in un'aureola di luce.
Si udi il crepitio simultaneo di
venti fucili e i tre colpiti caddero
riversi sulla lastra dei balcone. li
na mano femminile spenzolò tra i
ferri come per un supremo addio.
Alberto dovette appoggiarsi al
braccio di un soldato e il battagli
one si allontanò per la via polve
rosa.
Cinque giorni dopo, nell'epico
assalto di Montenero, un ufficiale,
con audacia folle si lanciava all'
avanguardia, conquistando una
cima. Yi stette incitando i suoi
ragazzi al grido di "Viva l'ltalia"
finché fu colpito da una palla in
pieno petto. Allora finalmente il
viso pallido e triste gli si illuminò
di una luce nuova, come di reden
zione.
E il suo spirito, assorto- in una
visione lontana, pareva formirPS
se l'intimo pensiero :
—Muoio non per te. Berta, ma
per un'idea grande, per la quale
tu sei morta, un'ldea più grande
del mio amore più grande del tuo
amore. ONORATO FAVA.
Assicurazioni
SUL
FUOCO
COMPENSAZIONI
ACCIDENTI
FURTI
VITA
AUTOMOBILI. ETC.
677 PhiladefPhiaSt.. Indiana,Pa.
Clarence R. Smith
t
La Fuga Entro Una Cassa
Fra le fughe tentate da prigio
| nieri di guerra uno dei posti più
singolari tocca a quella ideata dall
aspirante ufficiale italiano. Silvio
i Farina, un giovanissimo lombar
do di Turago-Bordone (Pavia), i
I cui genitori abitano a Milano in
via Lecco, 8; la madre é maestra
comunale a Turro Milanese. —La-
scito dal corso aspiranti ufficiali
di Campolongo ai primi di maggio
di quest'anno e subito ingaggiato
nelle operazioni di guerra poco do
1 po—il 23 maggio—cadde prigioni
jero. —La triste avventura tu da
! lui narrata in una lettera alla fa-
| miglia in cui diceva:
ebbi sorpassata la seconda linea
jnemica, m'incontrai con pochi sol
dati ed un capitano del... fanteria.
| Riuniti continuammo l'avanzata,
mentre una mitragilatrice nemica
ci falciava ; giunti in pochissimi
presso una dolina anche il capite
llo fu colpito da una pallottola so
pra il cuore. Mi stramazzò ai piedi
sanguinante. Mi chiamò emi dis
se : "Mi sento presso a morire - tu
andrai da mia madre o le scrive
rai. "E mi diede l'indirizzo d- 1« i.
Trascinai poscia il ferito nel fon
do della dolina e, fatta improvvi
sare dai soldati una barella su cui
ponemmo teli da tenda e coperte
trovati in un baracchino austriaco,
ve l'adagiai. Si attendeva la se
ra per poter rientrare nelle nostre
linee; ma poco dopo eccoci circon
dati da un nugolo di nemici, nell'-
impossibilità di difenderci. Fum
mo |fatti prigionieri. Potei scorta'
re il mio capitano fino al posto di
medicazione ove venne dichiarato
in pericolo di vita ; poi fui costret
to a lasciarito e seguii la mia sorte
" —Quel ferito era il capitano Val
meri di Modena; l'incarico che il
Farina lasciava alla propria ma
dre era di scrivere alla madre di
lui per inviargli il suo ultimo sa
luto Ma si seppe poi che il Valme
ri potè essere salvo.
L'episodio si svolgeva nell'aspra
regione di Castagnevizza. Da al
lora il giovane prigioniero pere
grinò fra il codazzo dei suoi com
pagni di sventura, di stazione in
stazione, finché ai primi di giugno
arrivò al campo dei prigionieri di
guerra di Mauthausen sul Danubio
Fu uno dei nostri reduci dalla pri
gionia atroce, che narrò come il
Farina, invaso dal desiderio acre
di tornare in Italia, ideò la fuga.
Nessuno ne era stato messo a par
te. Il narratore stesso —un uffi
ciale del Regio esercito, compreso
nella schiera dei liberati —non ne
fu a cognizione che a fatto com
piuto e fu lui a riferire il roman
zesco tentativo a chi gliene chiese
notizia in seguito a qualche vago
accenno dato da giornali.
Il racconto del fuggiasco.
—Volete sapere come si svolse
l'evento ? —egli disse.— Eccovelo
come me l'ebbe ad esporre il Fa
rina stesso un bel giovane, raccol
to ed ardito, pensoso e deciso. —
'*ll 5 agosto, una domenica, fra
gli avvisi esposti nella mia barac
ca a Mauthausen notai in un ordi
ne del giorno le seguenti parole:
"Domani i sottonotati signori uf
ficiali prigionieri di guerra, dichi
arati invalidi da Commissione su
periore. dovranno consegnare per
le ore 8. alla cancelleria, i baga
gli. e teneri pronti per la parten
za alle ore 16." In un altro era
detto: <; I signori ufficiali prigio
nieri di guerra già destinati per il
campo di Heveninsgeren dovran
no consegnare per le ore 10 le va
ligie, e la partenza sarà alle ore 8
ant. " Vi sarebbe stata quindi una
gran confusione, e sarebbe man
cato agli austriaci il tempo di at
tendere al giornaliero appello. Mi
balenò in testa una idea; la fuga;
e girando frettolosamente attorno
ai reticolati che mi circondavano
progettai il mio piano.
4 'Avendo poco tempo da perde
re sbrigai alcuni piccoli affari, in
di acquistai al magazzeno una
grossa cassa facendola accomoda
re alla meglio da un mio atten
dente. Alla sera non andai a men
sa pensando bene di tenermi leg
gero per il viaggio. Il mattino del
6, verso le 7, mi misi entro la cas
sa con indosso solo camicia e mu
tande, mettendo la diagonale in
un sacchetto da pane della Croce
Rossa, per servirmene come guan
ciale. Chiusi la cassa dall'interno
e mi feci portare in cancelleria,
ove dopo che l'ufficiale austriaco
ebbe guardato l'indirizzo (che era
quello di un partente), venni mes
so sopra un carra e trasportato al
a stazione. Dopo essere stato col
la testa ali 'ingiù per una decina
di minuti, e per più di due ore all'
acqua, che entrava dalle fessure,
praticate per facilitare la respira
zione, mi sentii sollevato e carica
to in un bagagliaio. Nella posizi
one in cui fui messo stavo magni
ficamente bene. Attesi parecchio
tempo, finalmente verso le 17 il
treno si mosse; e cosi cominciò il
viaggio.
"Ah! quanti proponimenti,
quanti castelli in aria ebbi a fare
là dentro! Ma dopo un po' di per
corso lo sconquasso della cassa en
tro il vagone mi fece sentire tutte
le ossa rotte; incominciavo a su
dare, ebbi a patire febbre. Ogni
qualvolta mi sentivo la gola essic
cata, sorseggiavo un po' d'acqua
che tenevo nella boraccio. Dal mio
stretto ed incomodo rifugio, dis
tinguevo benissimo quando il tre
no passava sovra i ponti o sotto le
gallerie; ad ogni stazione princi
pale sentivo la porta del vagone
cigolare sulle rotelle ed aprirsi."
Qualcuno viene per spiare"—di
cevo fra me —e allora mi tenevo
immobile e zitto. Allorquando il
treno riprendeva la corsa, respi
ravo con fiducia. >
Il terrore della morte.
"Il peggiore guaio mi accaddo
alla stazione austriaca ove gli in
validi vengono fatti consuetamen
te sostare per circa un giorno in
attesa del treno della Croce Rossa
Svizzera su cui devono trasborda
re. Trasbordarono, naturalmen
te, anche i bagagli, onde la cassa
ov'io ero rinchiuso venne tolta dal
\ agone e deposta nella sala d'at
spetto di 3' classe, ove avrei dovu
to attendere sino all'indomani se
ra. Sventura volle che i facchini
addetti al trasporto mettessero la
mia cassa sotto a tutte le altre, es
sendo essa la più voluminosa, ma,
oltre a ciò. vi accatastarono tutt'-
intorao bauli e f valigie cosicché
dopo non molto mi accorsi che nel
mio rifugio dalle fessure non en
trava più aria. Il terrore d'una
I
morte crudele cominciò ad impos
sessarsi di me. 110 resistito più
che ho potuto; ma finii col sentir
mi agli estremi, arsa la gola, im
possibile la respirazione. Dispe
rato mi mordevo le dita, per non j
gridare. Quando pensai che il gri- 1
dare potesse essere l'unica mia
salvezza, il grande silenzio che
sentivo tutt 'attorno mi rese eerto
! elle doveva essere tarda notte e
elle quindi le mie grida non sareb
bero state udite. Caddi in ima
specie di atonia durante la quale
11011 sentivo più nulla. Poscia mi
riebbi. Aiutato dalla forza della
disperazione smossi col dorso il
coperchio della cassa malgrado i
parecchi quintali che vi erano so
pra, e misi fra il coperchio e la
'cassa una scarpa, cosicché un po'
d'aria potesse entrare, poscia con
della carta feci un imbuto che ten
ni in bocca dal lato più stretto ap
poggiandolo alla fessura dal lato
maggiore per poter respirare un
po' meglio. Ma l'aria mi giungeva
cosi scarsa e la mia posizione s'era
resa cosi disperata che, trascorse
alcune ore, un grido irresistibile
mi usci dalla strozza. Udii una
voce sgomenta chiedere immedia
tamente: "Chi é?!"—"Un uffi
ciale italiano"—risposi.
"Segui un breve silenzio; poi
l'ignoto mio interlocutore —ch'era
uscito evidentemente a chiamare
altri—si die con essi a spostare i
bauli ch'eran sopra la mia cassa.
Era un lavoro affrettato e disor
dinato come di ehi abbia paura.
Ma quando la cassa fu allo scoper
to nessuno osò aprirla. Fui io a
far forza dall'interno sul coper
chio per uscire.
Ritorno e Mauthausen.
"Ero tutte stordito; ma con mio»
grande stupore non vidi nessuno
li presso, tutti erano scappati dal
la sala. A stento mi trascinai nel
mezzo di essa e mi sdraiai per ter
ra. Un orologio era sulla parete?
segnava le 7. Per due giorni pre
cisi ero stato chiuso in quel
Rimasi solo oltre un quarto d'ora;
le finestre e gli usci erano tutti
chiusi. I*ol, si presentò nella sala
un ufficiale austriaco, il quale mi
rivolse con durezza alcune do
mande; indi m'ordinò di vestirmi
e mi fece condurre qui."
Questo il racconto fatto dal Fa
rina nei locali delle scuole comu
nali ove era stato condotto ed ove
si trovò cui nostri invalidi di guer
ra, ivi pure ricoverati in attesa di
compiere in ferrovia l'ultima tap
pa. La sua desolazione raggiunse
il colmo quando apprese dai com
patrioti di essere appena ad un'-
ora dalla frontiera. Rifocillato e
messosi in forze egli ideò un nuo
vo tentativo di fuga. Parve rius
cire, ma sul più bello si trovò da
\anti a una sentinella con baionet
ta inastata al cui grido d'allarme
altri soldati accorsero che circon
darono il fuggiasco e lo rinchiu
sero in un gabinetto appartato per
essere immediatamente rinviato a
Mauthausen.
—E la punizione?—chiedemmo.
—La punizione consueta pei pri
gionieri di guerra che tentano la
fuga é l'arresto di rigore per tren
ta giorni consecutivi. Consta, pe
rò, che ricorrendo in quei giorni
il genetliaco del nuovo imperato
re austro-ungarico, le punizioni
militari vennero condonate ed il
Farina ebbe a fruire a sua volta
di questa specie d'amnistia. Ma
neppure questa piccola fortuna fu
di conforto al Farina. In una sna
lettera successiva egli infatti scri
veva : "Ed ora nuovamente m r ~
aggiro fra i reticolati! Ah quanta
é dura questa doppia prigionia t**