Tanto per dire La ZINuARA - Reminiscenza Credo che la religione degli zingari imponga loro, come un dogma, di dire sempre ia bugia, e rubare, quando vien fatta. K bisogna convenire ohe questi due comandamenti li osservano con una inappuntabilità meticolosa. Domandate di dove vengono e co me si chiamano: avranno sem pre pronto un nome o una regio ne, che variano ogni ora, come no varia il linguaggio che corrobora la versatilità della loro mente alla bugia e alla mistificazione. Una sola cosa però li distingue tutti, e per la quale non si smentiscono mai in qualunque paese si trovi no o da qualunque dicano di pro venire : la sporcizie ; quella spor cizie che li riveste dalle pieghe delle molteplici vesti a sloglia tella riccia, per non dir oltre, fino alle unghie ed ai capelli spioventi e appiccicati sulle tempie untuo se. Eppure, una volta, ebbi un i dillio con una zingara, sporca u gualmente, ma meno bugiarda; idillio breve, che finì in una ca tastrofe Avevo ventitré (dico 23) anni ; e nel mio paese n'era piovuta, non so di dove, una carovana di que sti nomadi, che si spacciavano per Montenegrini, e pei quali u savamo delle deferenze d'ospita lità, quasi considerandolo un do vere verso i compaesani della Re gina Elena, allora Principessa. S'erano accampati fuori il pae se in un prato prospiciente a ca sa nostra. Mettevano i fondi nuo vi alle caldaie e casseruole di ra me. In Germania avrebbero fat to più affari, a causa delle cucine allaEulemburg, ma, via ! anche in altri paesi si usano caldaie e cas seruole, e a lungo andare il fon do si buca egualmente. Era di settembre ; mio padre e mia madre erano in campagna a vendemmiare ed io alla controra d'un martedì (come lo ricordo be ne quel martedì) in maniche di camicia, e con un metro di pipa tra le labbra, facevo la siesta nella mia camera, seduto sulla sponda/ del letto, senza decidermi ancora ad allungarnnci su. Bei tempi ! Deus no bis haec otia iecit avrebbe ridetto Titiro al posto mio; ozii brevi, troppo brevi co me la gioventù, che mai ritorna ! (il lettore è pregato di non cre dermi a versar lagrime; oggi po so un poco.) Stavo dunque così, quando sen to nella stanza attigua uno scal pitìo e quasi allo stesso tempo, come un'apparizione, la siluette, sì, la siluette di una bella e spor ca zingara si profila nel vano del la porta. Che vuoi ? le dissi brusco. In cattivo italiano mi doman dò arrossendo se avevo della ro ba senza fondo, chè avrebbe po tuto rimetterla a nuovo. Senti mia cara hai sba gliato casa perchè sai qui tutto è col fondo Alle mia parole restò confusa ed era per andarsene. Io non glie ne detti il tempo. Come ti chiami? Maria; rispose con un filo di voce. Tanta timidezza in una zingara, me la faceva sembrare piuttosto interessante; poi cer t'occhi, certe labbra parola d'o nore se non fosse stata quella patina scura, che ne copriva la carne, sarebbe stata mille volte più bella della figlia della serva. Avvicinati quanti anni hai? Diciotto. (La pipa mi cad de per terra) Sei maritata? Sì, ma mio marito è scap pato con mia sorella- (Ebbi un colpo di tosse). Povera Maria! Indovini pure la ventura? No, noi non indoviniamo U ventura; e poi son tutte bugie quelle che dicono— — Siedi ! le dissi con voce tre mante, guardandola negli occh neri; e Maria s'avvicinò e m guaruo nei imei occhi blandii i .caia aveva cuciono anni io ven- ' i wtre laceva caldo alalia venne pure il giorno se- < guente, pulita come un giglio • J® 1 altro, e l'altro, lino al sabato, : 112 quando 1 miei genitori ebbero ia I ! triste idea di ritornale dalla cam- i , P a g»a. io ero fuori. 1 ornato a ca- - t sa, il mio "buona sera" resto i senza risposta. 1 emporale in vi- i sta, pensai. A tavola non una pa- i rola. Alla fine della cena entra co- i 3 meun Colide la figlia delia don -4 na di servizio (età anni ventuno) i i che grida come un'oca : Signora, 4 galline non ci sono più ! gii i , zingari, gli zingari le han rubate | ) certamente. I miei signori geni- I tori restarono imperterriti; solo ; mia madre, facendo spallucce, : soggiunse con calma, fissandomi I a con un sorrisetto dolce : i E via ! tra parenti sette i } galline non è poi troppo i Ebbi compassione di me stesso. La catastrofe era completa; sa- i pevano tutto. T'ha indovinata la ventura i la zingara? domandò mia madre. No; è venuta a cercare cai- , ' daie bucate per accomodare il fondo. i E papà subito: E credo che tu | hai fatto il contrario con la zin gara, la quale, se t'ha detta la ) ventura, non si è dispiaciuta cer- i to d'indovinare che sei un por co! Fuoco incrociato, dissi tra me, non c'è più scampo. E come è venuta pulita la bella Maria, questi giorni ! disse : con sarcasmo mia madre. I capelli mi si rizzarono sulla fronte. "Anche questo le han ri- i ferito le chiacchierone"; pensai come Don Abondio. a —Ma in conclusione, che dia- volo vi salta in mente ?, gridai col coraggio della disperazione. ! —La conclusione è che Maria t'ha voluto lasciare un suo ri cordo con questa forcinella d'ar gento che ho trovata sul tuo lèt -1 to. E così dicendo mammà mi cac ■ ciava nel taschino del gilè quel maledetto corpo del delitto. Visto che la terra non mi si a priva sotto i piedi, scappai via, I mostrando la mia difesa nella fuga, ma nella penombra del- l'altra stanza era ad attendermi il terzo nemico: la figlia della serva, che mi guardava sorriden , te e soddisfatta, come per dire: Mi sono vdtidicata, traditore! Mi fermai un momento, la guar dai in atto di sfida, e con le mani nelle tasche dei calzoni, dinocco landomi come un paino, le pas sai accanto, canticchiando in ro ' manesco: Tiriralla ! Tiriralla! Morirai senz'assaggiali La pizza cor zibibbo Calla calla E mantenni la promessa. Mi vendicai anch'io. A. D'Aloia ; "REPETITA JUVANT" a Non si crederebbe, ma è un fatto che, pur dopo tanto imper versare di articoli, di conferenze di pur dopo il moltipli o carsi dei decreti restrittivi, c'è u della gente, e non poca, che non e è ancora persuasa della necessità ■- assoluta, imprescindibile del ri i- sparmio. a Così è. Si sta volentieri ad al a manaccare sulla durata della e guerra e si accolgono le previsio . ni di una prossima fine con una li soddisfazione che è prova elo quente dei voti generali : ma non I- si capisce, o non si vuol capire, che la fine dei conflitto con la vittoria, s'inte/de è subordi )- nata al sacrificio, alla rinuncia n ad ogni superfluità, non solo, ma anche, fin che sia possibile, a tut ù to ciò che l'esperienza viene in segnando non essere assoluta a mente necessario. ì, I nostri soldati fanno miraco li. Ormai non c'è nessuno che non ì- sappia i mirabili ardimenti e le ù fatiche indurate traverso a disa ii gi inauditi. Di questo eroismo dei LA RASSEGNA PHILADELPHIA, PA., SABATO. 21 APRILE 1917 nostri iigu noi giustamente, me niamo vanto e ni esso, non meno ! giusiamenie, collimiamo per la soluzione vii lori osa. Ma poi doloroso a dirsi e più a credersi ! ci dimentichiamo che la resi stenza militare è strettamente legata a quella civile, così che 1 u na non può esistere se l'altra : vien meno. Siamo noi, proprio noi, rimasti a casa, che dobbiamo far le spese per coloro che com battono al fronte: è un dovere 1 imprescindibile, è una eondizio- , ne si ne qua non se vogliamo la vittoria a fatti, non a chiacchie re. La verità è qualche volta dolo rosa, perfino crudele, ma è sem pre bene guardarla in faccia: ora la verità e questa che, di fronte al disagio stesso, ma di spingere ' agli estremi limiti, ed anche al di | la, la possibilità della resistenza, i Questa guerra non è solamente militare, è anche, ed essenzial- < mente, economica: astrarre da un simile postulato, astrarre dal la realtà dei fatti, che pure si , svolgono eloquenti sotto i nostri occhi, è follia che può precipitar- : vi nelle più dure e penose espia- 1 zioni, è l'incoscienza del pazzo! che festeggia e ride della veste che gli brucia addosso. Noi scriviamo queste cose con una certa trepidazione, perchè, in verità, quanto stimo scrivendo, è così evidente, così intuitivo che l'enunciazione può sembrare su perfluo ed anche poco rispettosa per i lettori. Ed infatti in teoria è così: ma nella pratica troppi sono gli errori che persistono, troppe le abitudini che s'impun-1 tano contro la necessità di radi- 1 cali restrizioni. Quanti non ci sono ancora che j si ostinano nell'idea che il rinca- ] ro sia unicamente dovuto alla ! speculazione di esosi speculatori ! dimenticando che tale speculazio ne se pure in taluni casi in negabile e, del resto, inevitabile è pur sempre un fenomeno trascurabile di fronte alla vera causa del disagio, che è data dal la guerra? Quanti non ci sono che, pur di non rinunciare ad abi tudini voluttuarie che spesso con finano con lo sperpero, s'ingegna no di eludere i provvedimenti go vernativi o, quando eluderli non possono, sfoderano delle critiche tanto più facili quanto più, nell'o ra critica, il Governo, alle prese con sempre nuove difficoltà, può più facilmenae sbagliare? Il curioso è che questi signori fanno poi, e in piena buona fede, ] professione di patriottismo. Essi hanno però il grave torto di di menticare che, in quest'ora tra gica, amordi patria è sinonimo di sagrificio. La confessione I giornali conservatori tede schi non tengono alcun conto de- j gli sforzi che i fautori della j Germania nel campo nemico van no facendo per indurre gli anal fabeti dell'lntesa a stendere un velo sul passato e a non occupar- j si più che dell'avvenire. Sì, la violazione del Belgio; sì, ; certe piccole esagerazioni ale- i manne nell'intendere i diritti di guerra nel secolo XX, dopo di ciannove secoli di cristianesimo e qualche decennio di conferenze dell'Aja; sì, tutto quel che vole te ; ma adesso è tempo di essere pratici e di badare a finirla come che sia con la guerra. Al rinno vamento dell'Europa ci credono gli ingenui, ci crede forse lo stes so Bethmann-Hollweg, ma non ci crede chi non ha creduto mai al la necessità e alla nobiltà del ge sto italiano. Sopire, sopire; chiudere un oc chio; dimenticare, sorridere. Il Belgio ? Oh Dio, basta con questo Belgio! Si cercherà di restituire il suo regno a quell'"impulsivo" di Re Alberto che rifiutando gli accomodamenti mise sciagurata mente di moda l'onore delle na zioni e la santità dei trattati proprio quando il Cancelliere o pinava che "necessità non cono sce legge"; ma pensiamo ora a sbrigarci. La Germania fa un passo verso di noi, noi ue laccia 'lllo due verso di lei; la Germa nia transige pei' dieci, noi transi giamo per venti ; e se almeno un poco la Germania può darsi l'a- 1 ria di aver vinto, noi, (noi, cioè coloro) diremo alle turbe:— Ah? se fossimo stati a guardare in di sparte ? O se ci fossimo messi dal la parte del più torte V Badate o ra per chi votate. Siamo qua Ma i giornali conservatori te deschi, incuranti di queste pre gevoli fatiche, hanno ripigliato il tono di sdegno contro il Cancel liere per la sua confessione del 4 agosto. Che idea, una confessio ne pubblica! Era un'usanza del medio-evo, ma adesso la regola è : di farla a quattr'occhi e sottovo ce, e poi: Ego te absolvo In vece adesso c'è il mondo che de ve dare l'assoluzione, e il mondo non la dà, e, perchè non la dia, ; l'lntesa la quale col pregili- ' dizio della giustizia manca terri bilmente di praticità seguita a ripetete :11 Belgio il Bel- [ gio Ricordatevi del 4 agosto Come volete che si accetti più per garanzia dell'avvenire, una vo stra firma? Dov'è la carta così solida che non possiate domani ridurla in pezzi, se domani la vo stra ìjjgeessità si rimettesse a non conoscere legge? I conservatori tedeschi ammet tono, con le loro diatribe, che quel discorso del 4 agosto fu una scia gurata faccenda, imo di quegli atti di semplicità che fanno sus sultare nella tomba le ossa del principe di Bismark. 11 principe di Bismark, l'uomo di Ems, a vrebbe prima imputato al Bel gio il tradimento, poi lo avrebbe S invaso. Il suo successore prima i gli aprì il costato con la lancia, poi diede incarico alla Nerddeut ! sehe Allgemeine Zeitung di get | tar sulla ferita una manata di fango. Non è vero che l'lntesa, nono- j stante i suggerimenti a bocca! storta di qualche suo consigliere spirituale, ha ragione e fa bene a ; ricordare il delitto e la confes sione? I conservatori tedeschi ri conoscono che ha buon giuoco: bisogna farlo vak,-j, il buon giuo- ; co. L'ANIMA DEI NOSTRI SOLDATI I giornali francesi narrano di j un soldato che, sotto la mitraglia j del nemico, continuava a rimane re in piedi col fucile spianato, i mentre i suoi compagni, al co mando del loro capitano, si erano j sdraiati a terra. Volete dunque farvi uccide re, animale! gli gridò il capi tano. II soldato, impassibile, non si mosse. lnsomma! volete übbidire? Non posso signor capitano rispose il soldato volgendosi tutto contrito : ho in tasca u na bottiglia di vino senza turac ciolo. Un fatto quasi simile è acca duto sulla nostra fronte. Il colonnello del reggimento, j inviò un soldato a portare un or dine nella trincea distante circa trecento metri. Bisognava tra versare uno spazio scoperto bat tuto dal fuoco nemico. Il soldato partì, salutato da una raffica di pallottole, e giunse felicemente alla mèta. Un momento dopo egli ricomparve i>er ritornare. Di nuovo gli austriaci lo accolsero con una tempesta di fucilate. Egli correva. Ma, tutt'a un tratto, lo si vide fermarsi, tornare qualche passo indietro, chinarsi a cercare qualche cosa a terra. Le pallotto le grandinavano intorno a lui Infine, egli ripartì e giunse in porto, sano e salvo. Ma, perbacco ! esclamò il colonnello —: perchè ti sei fer mato là? Che cosa cercavi? Mi perdoni, signor colonnel lo rispose il soldato, compun to —: Mi era caduta la pipa E . mi rincresceva abbandonarla... perchè me l'aveva mandata la mia bambina. Il colonnello volse il capo, per l non mostrare una lacrima che gli era venuta agli occhi. FARMACIA Gennaro Salerno Cor. 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