The patriot. (Indiana, Pa.) 1914-1955, February 07, 1920, Image 2

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Salandra
Continua da pagina I
io non potevo, al cospetto del paese è
dell'Estero, contraddire all'on. Tede
sco rivelando la dolorosa verità. Ma
non volli, nonostante ripetute insi
stenze, confermare le sue dichiara
zioni; riuscii ad impedire in Senato
una discussione sulle condizioni del
l'esercito. Ora si può, senza danno
pel Paese, rompere un silenzio che si
gnificherebbe acquiescenza e ristabi
lire 1& precisa e documentabile realtà
del fatti.
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I CASI DKI» MAGGIO 1913
L'on. Giolitti si é fermato sui casi
avvenuti dopo l'B maggio 1915, quan
do egli venne a Roma di propria i
niziativa o chiamato dai suoi amici.
La sua narrazione é incompleta.
Egli ricorda con compiacenza la
dimostrazione pacifista di circa 300
deputata che gli scrissero o lasciarono
la loro carta da visita nella portine
ria della sua casa. Tale dimostrazio
ne parve a me un fenomeno di quelle
degenerazione del costume politico
che il lungo predominio dellon. Gio
litti aveva, forse inconsapevolmente,
promossa e favorita. Di questi 300
deputati quasi nessuno aveva osato
rilevare pubblicamente il proprio mo
do di vedere in un momento cosi gra
ve per il paese; soltanto pochissimi
l'osarono dipoi; mentre la massima
parte di essi voto, qualche giorno do
po, senza osservazioni o riserve, la
guerra.
Esplicitamente contrario alla guer
ra si rilievo, é vero, in ogni sua mani
festazione l'on. Giolitti. E' anche vero
che non gli fu mostrato il testo del
l'accordo di Londra, allora segretis
simo. Ma le principali stipulazioni
di quel patto; gl'impegni presi e i
compensi dovuti (il Titolo fino al
Brennero, l'lstria e Trieste, gran par
te della Dalmazia) gli furono espo
sti dall'on. Carcano per incarico mio
a dell'on. Sonnino, dopo che l'on. Car
cano, alla Consulta, ebbe presi, per
essere preciso, alcuni appunti. Gli
furono poi confermati da me in un
lungo colloquio che ebbe luogo, die
tro richiesta fattemene dall'on. Gio
litti per mezzo di un autorevole de
putato suo amico, in casa mia il 10
maggio. Di questo colloquio l'on.
Giolitti ha taciuto. Avrebbe potuto
parlarne; poiché non si tratta di col
loqui reali e poiché non ha creduto
sconveniente pubblicare una mia let
tera personale. Romperò io la riser
va con la scórta di precisi ricordi,
cioè di appunti da me presi immedia
tamente dopo.
L'on. Giolitti mi confermò le ra
gioni all'on. Carcano contro là
guerra, ch-> prevedeva lunga (parlo
di un inverno non di tre anni) e di
spendiosissima. Sopratutto accentuò
la sua sfiducia nell'esercito, che pro
babilmente—a suo dire —non si sa
rebbe battuto o non avrebbe resistito
a una lunga guerra. In Libia—egli
diceva —si era vinto soltanto quando
eravamo dieci contro uno. Prevede
va la discesa di un milione ,di Au
stro—Tedeschi contro di noi, l'occu
pazione di Verona, la ritirata dietro
il Po, la conquista di Milano, la rivo
luzione in Paese.
L'on. Giolitti si mostrò consapevo
le delle migliori proposte Austro-te
desche, - delle quali in quei giorni si
parlava, ma al Governo non erano
state comunicate. Mi disse di averle
vedute in mano allo stesso autorevo
le deputato suo amico, che aveva
combinato il nostro colloquio. Alla
mia osservazione che le nuove con
cessioni non avevano valore se non
fossero state comunicate al Governo,
l'on. Giolitti consenti; e soggiunse
che avrebbe provveduto a farcele a
vere, accennando a servirsi come in
termediario di un senatore calabrese
amico suo e mio, che era intimo di
casa Minghetti e quindi di casa Bu
low. Difatti le proposte vennero l'in
domani mattina (11 maggio) in dop
pia copia, all'on. Sonnino e a me, fir
mate da Bulow e da Macchio, e ac
compagnate da una a firma del
solo Bulow. Esse comprendevano
come é noto —la cessione del Tirolo,
in quanto di naziolita italiana, V.ella
riva occidentale dell'lsonzo, m quan
to d ; nazionalità italiana con Gradi
sca; di Vallona col disinteressamento
completo dell'Austria in Albania.
Trieste sarebbe stata città libera con
l'autonomia municipale, con l'Univer
sità italiana e col porto franco. Sa
rebbero stati esaminati con benevo
lenza i voti che l'ltalia avrebbe for
mulati per Gorizia e per le isole. La
Germania sarebbe state garante del
ia leale esecuzione dell'accordo fra
l'ltalia e l'Austria.
L'on. Gilolitti riteneva che queste
proposte avrebbero dovuto essere ac
cettate e servire di base a negoziati
• l'l tei iori. Il Ministero avrebbe potu
to, secondo lui, rimanere al .SUQ. po
sto, «3 isim P e gnandosi. dagli obblighi
assunti col patto di Londra, median
te un voto della Camera che egli si
profferiva di concordare e di •"'arèn
tire.
Tale, fu, in fedele riassunto,/ la de
cisiva conversazione che io ebbi con
l'on. Giolitti. Non credo che egli vo
glia smentirne alcuna parte. Se la
smentisse resterebbe l'affermazione
' sua di contro alla mia. 11 paese b-fi
ccherebbe a chi dei due prestar fede
E' superfluo ripetere le ragioni per
le quali il Ministero da me presiedu
i to non reputo ut.le al Paese né digni
toso il seguire la linea di condotta
(consigliata dall'on. Gioiitti. Le
esposi il 2 giugno in Campidoglio in
un discorso che ricordo soltanto per
la grande diffusione che ebbe in lta
! lia e fuori. Le accettarono il Paese
e almeno —la gran
dissima maggioranza della Camera e
il Senato unanime.
Le previsioni dell'on. Gioiitti si ve
rificarono, anzi furono superate, co
me quelle di tu.ti gli uomini di Go
verno e di guerra, in quanto alia àu
le ta o al costo della guerra. Ma gl'i
taliani non vollero che si verifieasse
[ ro i suoi foschi presagi in quanto al
I valore e alla resistenza dell'esercito
e del Paese. Che se essi parvero av
; verarsi in un giorno nefasto — del
i quale il ricordo dovrebbe essere can
-1 celiato piuttosto che continuamente
I rievocato e ravvisato con delittuosa
[ compiacenza—consideri l'uomo che
ebbe l'onore di reggere per lunghi an
ni le sorti d'ltalia se il contegno di
allora e di poi, suo e dei suoi segua
ci, non abbia, in qualche sia pure non
decisiva misura, contribuito a deter-
I minare quella depressione morale che
fu poi eroicamente riscattata. Certo
e che fra i soldati sediziosi vi fu chi
gli fece la sanguinosa ingiuria di gri
dare evviva al suo nome, come i gior
nali del nemico gli avevano più vol
te fatta l'ingiuria non meno sangu
nosa di attendersi da un suo ritorno
al potere una Italia che invocasse la
pace senza onore.
IL PATTO I>l LONDRA
Nel discorso di Dronero era natu
rale che si raccogliessero e si acuisse
ro tutte le critiche, giuste ed ingiu
ste, fondate e infondate, che nel cor
so di quattro anni si sono venute da
più parti accumulando contro gli ac
cordi per effetto dei quali l'ltalia en
trò in guerra a fianco delle potenze
dell'lntesa. Essi furono, a volta a
volta, qualificati di ricatto imperiali
stico e di supina negligenza dei di
vini e degli interessi italiani.
Non ho mai in mia vita declinato
le responsabilità che mi competono. 1
Assumo pertanto quella del patto in
ternazionale che non poteva essere
stipulato se non col mio assenso. Ma
ne parlo per mio conto personale con
nsvoluta franchezza; poiché non é
più tempo di reticenze.
Qualunque trattato o legge o pia
no di guerra o atto di governo si e
s - mini dopo quattro anni, i più ricchi
di complicati ed impreveduti eventi
che'la storia ricordi, apparirà infette
di errori ed omissioni molteplici." Gli
suoi autori potranno senza ver
g. gna confessare che lavrebbero di
versafiiente voluto, e forse, effettua
to. Non io quindi negherò che erro
ri od omissini vi siano negli accordi
nell'aprile 1915. Ma giustizia vuole
. -.conosca, che, a non dire altro, per
essi fu assicurato all'ltalia, dep •
quindici secoli dacché lo aveva con
infinito danno perduto, il nonfine del-
I
lo Alpi; che per essi ci fu riconosciu
to il predominio che Venezia ebbe sul
mare che fu suo; un predominio del
quale non si discutono ormai se non
la misura a i limiti. Non a chi si sa
rebbe accontentato del vescovato di
Trento e del confine dell'lsonzo spet
ita il diritto d'invenire contro i patti ;
per effetto dei quali l'ltalia riacqui
sta i termini che ebbe l'ltalia romana
e si asside, sicura di sé, fra le poten
ze cui spetta il governo del mondo;
né ohi rinunciava a Trieste può rim
piangere Fiume.
ì Io non mi dolgo amarmente e
intendo farne pubblica confessione —
se non della clausola per la quale il |
"porto di Fiume' fu compreso nelle
t' - •
Questa vignetta rappresenta la
Leonardo da Vinci", che nell'A
crosto 1916 affondo nell'Adriatico
per una avvenuta esplosione. ILI
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mondo Servizio inappuntabile
zone assegnate come sbocchi neces
sari alle finitime popolazione slave.
Essa si spiega quando si ricordi che
pertinace ed efficace tutore di quelle
popolazioni fu, durante le trattative
che precedettero l'accordo, l'lmpero
Russo, che non prevedeva né deside
rava una lugoslavia unita, ma voleva
assicurati gl'interessi della Serbia,
del Montenegro, della Croazia; quan
do Si ricordi che la completa dissolu
zione della Monarchia Austro-Unga
rica non era, allora, considerata fra i
poss'bili fini di guerra; né le deside
ravano i nostri potenti alleati di oc
cidente disposti, secondo loro con
cetti di politica tradizionale, fin nel
1917, fin nel 1918, a salvarla e re
staurarla, perché si redimesse dalla
soggezione germanica. E' vanto e in
estimabile guadagno nostro di aver
reso, con la nostra schiacciante defi
nitiva vittoria, impossibile tale sal
vazione. Ma allora non sarebbe sta
ta concepibile una monarchia austro
ungarica sopravvivente a cui, perduta
Trieste, non fosse lasciato un ade
guato sbocco nell'Adriatico.
Queste sono spiegazioni, non giu
stificazioni. Nel condurre le laborio
se trattative avremmo dovuto avere
più profonda sensazione della
fervida eroica italianità della cittA
del Quarnero. Avremmo, forse potu
to, per essa, consentire maggiori sa
crifici altrove. Ne ciò riconosco tar
divamente oggi soltanto che la que
stione di Fiume investe cosi potente
mente l'anima nazionale. Quando,
in gennaio, fui invitato a far parte
della Delegazione Italiana alla Con
ferenza di Parigi, io dichiarai —l'one-
revole Orlando me ne può far fede —
non avrei concepito né sottoscrit
to un trattato che non garentisse
" urne all'ltalia. Cosi oggi vorrei
poter dare utilmente questo residuo
di vita affinché siano compiuti i voti
più legittimi e più ardenti di quanti
hanno cuore di italiano.
LA RITARDATA DICHIARAZIONE
DI GUERRA ALLA GERMANIA
Nessuna confessione invece, nessun
pentimento per quanto si attiene alla
ritardata dichiarazione di guerra al
la Germania.
Un ex-presidente del Consiglio pur
di colpire un avversario, non si trat
tiene dal dichiarare fedifraga verso
gli alleati la condotta politica del
pi'oprio paese durante il primo anno
di guerra, mentre ancora sono in di
scussione gravissime vitali questioni
circa l'esecuzione dei patti, ai quali
egli ci accusa di aver prima contrav
venuto. Gli é che l'odio, più che l'a
more, é cieco.
Non per me, ma per la reputazione
quel'tempo si credette perduta to
talmente, ma T?he fortunatamente
fu rimessa a galla. La corazzata
un modello di struttura del no
stro crenio.
del mio paese, devo dare dura recisa
risposta. L'accusa é temeraria e in
fondata. Non é vero—come nel di
scorso di Dronero e affermato— che
l'ltalia si tosse obbligata ad entrare
contemporaneamente in guerra con
tro tutti i nemici dell'lntesa.
L'ltalia non mancò mai ai suoi im
pegni. Li mantenne anzi con scru
polosa e perigliosa lealtà. Secondo
la lettera e lo spirito dell'accordo e
delle conseguenti convenzioni mili
tari l'intervento dell'ltalia era sub
ordinato alla efficace collaborazione
offensiva della Russia; la quale, pel
le vicende della guerra, era, nel mag
gio 1915, dopo la dislatta di (iorlice,
venuta; a mancare. Tuttavia l'ltalia
entrò in guerra. E ben fece, perché
iì suo intervento, come gli avversari
hanno riconosciuto, mutò le sorti del
mondo. Ma gravi ragioni politiche e
militari, che furono sempre aperta
mente manifestate agli alleati, ci
trattennero dal dichiarare allora la
guerra alla Germania. Che anche
questa guerra fosse inevitabile con
veniva si persuadesse il paese, edu
calo nella paurosa venerazione del
l'oltrepotenza tedesca, mantenuto
con ogni mezzo in tale stato d'animo
da quegli stessi ohe ora ci rimprove
rano la ìmstra prudenza. Conveniva,
prima di tirarci addosso un altro ne
mico, progredire sensibilmente nel
l'opera d'ingrandimento del nostro
esercito e di riforniméhto del mate
riale bellico. Tale opera noi, al pari
dei nostri alleati, dovemmo condurre
a guerra dichiarata. E certo il ro
vescio del maggio 1916 nel Trentino
avrebbe potuto avere ben altre più
gravi conseguenze se forze tedesche
si fossero aggiunte a quelle della Mo
narchia Austro- Ungarica.
Arrestata l'invasione con la coope
razione delha rinnovata offensiva ru.v
sa non si doveva più oltre indugiare
nelle dichiarazione di guerra alia
Germania. Decisa e preparata negli
ultimi del mio ministero, essa
fu formalmente compiuta dal Mini
stero Boselli. Ma di averla ritardata
io non mi pento, mi vanto corno di
un importante servigio reso al mio
Paese, il quale—giova ripeterlo a
vergogna di chi osa affermarlo—fe
difrago verso gli alleati non fu mai.
ELETTORI DEL COLLEGIO DI LU
CERÀ
Questa lettera, che voleva essere
una breve affettuosa espressione di
indelebile riconoscenza, ai é tramuta
la in un lunga incresciosa diatriba,
che darà forse origine ad altre ama
re polemiche. Non per mia colpa.
Fatto segno, in questo critico mo
«
mento della vita nazionale, ad una
aggressione lungamente premeditata,
io dovevo a me stesso, dovevo a Voi
la dimostrazione che Voi non confor
taste della Vostra costante adesione
un delinquente o un folle; che il Vo
stro rappresentante, fallibile uomo
« onte tutti, impari quando nessuno fu
pari alla immensa grandiosità degli
eventi, dette pere alla Patria tutta la
sua energia mentale, tutto il suo cuo
re, tutta l'anima sua; e non invano.
Ripeto innanzi a Voi con serena ài
torà diritta coscienza quello che di»-
si in Campidoglio: "La nostra guerra
é santa." E / santa é la vittoria che
l'ha coronata; e sacrilegio contro la
Patria e contro i nostri morti é chi
tenta di attenuarla, di svigorirla, di
negarla.
In un momento di intasa commo
zione, al cospetto ideila redenta fib
rina istriana, io dissi che. sentivo il
mio compito esaurito, chiuso il ciclo
della mia attività politica M'investi
va,-come m'investe e mi turba, una
profonda nostal della mia casa quie
ta, dei miei libri troppo a lungo ne
gletti. Io non ho ambizioni da sod
disfare, ;tio»n segnaci • da appagare,'
non vendette 1 da esercitare. Ma mi
avvedo che il dover mio non é del
tutto còmpitito II mio nome é anco
ra una bandiera. E poiché vi é chi
tenta lacerarla e trascinarla nel fan-
Ko, non m'é dato di ripiegarla.' Deb-*
bo ancora sorreggerla e agitarla per <
consegnarla immacolata ai giovani
che sapranno intorno ad essa guidare
la Patria a sempre più alti destini.
ANTONIO SA LANDRA.