The patriot. (Indiana, Pa.) 1914-1955, December 15, 1917, Image 5

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    L'ALBERO di NATALE
<>
Novella
Quel giorno Nuccio usci di casa
più oppresso e umiliato del con
sueto e s'incamminò per La solita
strada, reggendosi con maggior
stento e fatica sulle grucce e stra
scicando con più rilassamento le
sue povere gambette atone.
L'avvilimento e l'umiliazione
formavano da un po' di tempo la
sua condizione d'animo abituale,
ma quel giorno ne senti più forte
il peso, e più amara l'essenza che
lentamente e sordamente gli at
tossicava la vita.
Ah poter guarire... poter guari
re !
Era arrivata da un paesucolo li
mitrofo una parente di famiglia,
lontana da molti mesi, la quale ve
dendo Nuccio tuttora con Le gruc
ce si era rivolta alla sua mamma
esclamando :
—Ma... questo benedetto ragaz
zo, sempre cosi?
—Sempre cosi!
—Cesù buono!... Ma che razza
di male gli é venuto addosso?
—Eh... lo saprà lui... che razza
di male é!
La sua mamma che pure gli vo
leva bene, aveva pronunciato quel
le parole con un tono di voce un
po' aspro che dinotava una latente
irritazione : ed egli ne era arrossi
to e avea provato come un morso
al cuore. Già, era un po' che lo
capiva! In casa sua si comincia
va a perdere la pazienza.
Quello strano e persistente ma
le infastidiva un po' tutti. IL bab
bo specialmente che si vedeva cre
scere in casa quel ragazzo inutil
mente, come una pianta che si de
ve coltivare e concimare sempre,
pure sapendo di non ricavarne mai
un frutto.
Ma egli era più addolorato e
talvolta più spazientito di tutti,
messi insieme, e quale razza di ma
le gli fosse venuto addosso, invece
non lo sapeva proprio.
Era un intelligente fanciullo d'-
una decina d'anni, buono, mite,
solitario, e adesso continuamente
un po' melanconico a causa appun
to di quella inesplicabile infermi
tà alle gambe che da due o tre an
ni lo costringeva a camminare con
%
le grucce.
Il medico condotto del paese non
aveva saputo né spiegare ne cura
re la strana malattia e all'Ospeda
le della vicina cittadina di provin
cia, ove non c'erano né scenziati
studiosi né sistemi di cura moder
ni, lo avevano rimandato a casa
con una prescrizione di cura del
tutto inefficace ed illusoria. E
Nuccio aveva dovuto rassegnarsi,
appartarsi e sopportare quello
strano male, che per una dolorosa
abitudine fini poi coi diventare il
suo male.
*
Fattosi grandicello avrebbe vo
luto egli pure andare a lavorare
come i suoi due maggiori fratelli,
artigiani, per essere di sollievo al
la famiglia, almeno per una parte
di quello che consumava; ma con
le grucce lavoro non se ne trova e
da un po' di tempo assisteva con
amarezza alla propria inutilità u
miliante, e alla propria passiva in
erzia di piccolo parassita
Intuiva che in casa si sentiva
il peso della sua esistenza impro
duttiva e questa intuizione lo av
viliva sempre maggiormente. Si
vedeva il più trascurato : talvolta
non osava nemmeno soddisfare ap
piena la sua fame, senza che i suoi
lo comprendessero; e cosi una pri
ma anlara convinzione aveva a po
co a poco preso forma e consisten
za nell'esiguo deposito della sua
nebulosa ed incipiente espe
rienza : Che la povertà doveva es
sere una cosa molto triste e fune
sta, se poteva cosi disseccare le a
nime e creare tali condizioni e fa
re prevalere sull'affetto e sulla
pietà altri sentimenti indefinibili
ed inconfessati, di specie però ben
meschinamente diversa e più bas
sa ! Se avesse potuto guarire !
Ma nessuno osservava la picco
la fiamma delle sue pupille, nessu
no avvertiva sul volto l'espressio-
ne del continuo spasimo interno.
Vedeva la gente passargli accan
to, tutta sempre cosi indifferente,
dedita soltanto alle proprie cure,
dominata ed occupata cosi esclusi
vamente e continuamente dai soli
propri pensieri, senza mai il meno
mo spiraglio di spazio o ritaglio di
tempo da dedicare altrui, s? trat
tasse pur d'un infelice, che nella
sua piccola mente una seconda
convinzione essa pure amarognola
giusta o sbagliata che fosse, gra
datamente si era profilata, e gior
no per giorno si era concretata an
dando a far compagnia alla prima ;
che cioè gli uomini dovevano esse
re tutti egoisti e che da essi nulla
assolutamente si poteva sperare.
Solamente una volta aveva in
contrato chi s'era momentanea
mente, ma vanamente, interessato
della sua mala sorte e gli aveva
diretta qualche buona parola di
compianto. Ma era stato un im
potente sventurato come lui, che
veniva da chissà dove, e chissà do
ve era diretto; un vecchio mendi
co di passaggio, che camminava e
gli pure sorreggendosi sulle grucce
e strascicando le gambe morte, e
che incontrando Nuccio s'era in
dugiato ad osservarlo con compa
timento, rivolgendogli poscia La
parola :
—Oh povero figliuolo, anche tu..
già cosi?
Nuccio aveva sospirato, guar
dando con altrettanto ed istintivo
! compatimento quel suo fratello
maggiore di sventura, il quale ave
va soggiunto:
—Sei poverello anche tu... come
me, vero? E' una brutta cosa...
quando si a cosi, e non si può, la
vorare.. ! Povero figliuolo! Al mon
do son proprio più i dolori che le
gioie ! Mah ! Impari presto anche
tu! Però sii sempre buono, hai ca
pito? Sii sempre buono.. aIL vol
te il bene fa nascere il bene...
quando non avviene il contrario...
Mah ! Come ti chiami ?
—Nuccio.
—Nuccio? Ma guarda! Ho co
nosciuto un altro ragazzo che si
chiamava come te. Ma era un si
gnorino altezzoso... Tu sii buono,
hai capito? E non avvilirti.
Si era quindi allontanato, lasci
andolo con l'eco risonante nelle o
recchie, di alcune parole più signi
ficative. "Al mondo ci sono più
dolori che gioie... però sii buono...
alle volte, essere buoni...!"
Era poi passato del tempo, ma
la figura allampanata e un po ' ma
linconica del vecchio mendico, che
aveva cosi bene compresa la sua
intima ed oscura condizione di de
relitto, non gli s'era più cancella
ta dalla memoria. Aveva anche
saputo tanto bene esprimere in
parole un pensiero ch'egli già da
tempo, ai primi palpiti della sua
mente, aveva avuto in forma inde
! terminata !
—AI mondo più... i dolori che le
gioie ! Mah !
Egli aveva un po' sempre con
fusamente pensato qualche cosa di
simile e il sentirlo confermare da
quel vecchio, lo aveva alquanto
impressionato ed indotto a medi
tare. Che fosse dunque proprio
vero? Certo, per quanto lo riguar
dava, era proprio vero. Si senti
va piccino, debole, solo e colpito
ingiustamente. La sua infermità
gli pesava, lo rattristava, acuiva e
rendeva più delicata la sua sensi
bilità nervosa. Era precocemente
disposto a soffrire un po' di tutto
e talvolta inconsciamente invoca
va quasi di morire per liberarsi da
quella oziosa, inutile e pur tanto
faticosa vita.
Sensazioni tutte un po' indistin
te e sorde e lente, ancora avvolte
nell'ombra, ma in un'ombra che
ogni giorno perdeva di densità.
Eppure una lontana e del pari va
ga speranza di guarigione non l'-
aveva mai abbandonato.
Era un presentimento; come li
na piccola stella che in quell'om
bra non si era spenta.
La sua poca ed incerta ma già
amara esperienza di vita, e la sua
strana sensibilità, come lo aveva
no indotto a dubitare completa-
mente degli uomini che aveva d"- !
intorno, che intuiva ignoranti, roz
zi ed indifferenti, gli avevano in
vece suscitata una mistica :.s, da
zione religiosa, una indefinibile
de verso qualche cosa di supcrio
re e di misterioso, verso un Ente
,vero grande e giusto e miserieor-
I dioso, e che non poteva di conse
guenza non vedere e non occupar
!si della sua sorte si ingiusta e mi
serabile.
In casa sua non gli avevano
| troppo insegnato né a frequentare
la chiesa né a conoscere e a pre- !
gar Dio. Ma egli sapeva tuttavia
che gli uomini credevano in una
Forza, in una Volontà e in una
Bontà supreme, al di sopra della
forza e volontà e bontà proprie,
generalmente assai manchevoli;
sapeva che ci doveva essere una
Potenza meno caduca e una Giu
stizia meno irrisoria delle potenze
e delle giustizie terrene. Aveve
confusamente una primitiva ed in
definibile intelligenza di tutto que
sto, e come ogni essere debole bi
i '
sognoso d una speranza a cui ap
poggiarsi, aveva volte tutte le sue
malsicure aspirazioni ed illusioni
a questa misteriosa Entità, sovru
mana e sovrannaturale, che, a sod
disfazione istintiva dei suoi sensi,
i aveva personificata in una grande
statua troneggiante in un altare
, laterale della chiesa parocchiale.
L'altare era dedicato al Reden
tore, e nel mezzo c'era una mae
stosa e pur dolcissima figura di
Cristo, Dio e uomo, accennante al
cielo con una mano. Quella figu
ra nobile ed eretta, di grandezza
quasi naturale, e quel volto ricco
davvero d'espressione e di mae
stà divina, che per gli occhi soavi
e azzurri e per il taglio della bion
da barba alla nazzarena pareva,
nella penombra, un vero volto vi
vente, esercitavano un misterioso
fascino sull'animo di Nuccio. Co
me se già fosse stato un austero
asceta, egli soleva andare in chie
sa soltanto quando essa era deser
ta. L'ombra, la solitudine, il si
lenzio ed il riposo di quel sacro lu
|Ogo lo attraevano arcanamente. E
sempre s'indugiava ad assorbire e
assaporare con una specie di casta
! e morbosa voluttà quel complesso
e mistico odor di chiesa, formato
dagli odori riuniti di incenso, di
fiori vizzi, di cera e di luogo chiu
so. E quando ne aveva ben impre
gnato e saturato i suo olfatto, si
recava a contemplare lungamente,
in umile silenzio, quella nobilissi
| ma statua, che per lui significava,
e personificava tante cose indistin
te ed indefinibili. La guardava e
la supplicava con l'anima, e intui
va che se un prodigio a suo ri
guardo si fosse compiuto sarebbe
venuto di là, da quella divina Fi
gura...
(Continua.)
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La tavola era stata apparecchia
ta sulla veranda, una veranda am
pia, elegnte, ombreggiata da ce
spugli di rose, ortensie e gerani.
Eramavo alla frutta.
10 presi dei lamponi ed escla
mai:
—Splendidi !
11 vecchio Mercuri accennò col
la destra in lontananza e disse :
—Sono di Assiello, il più ricco
agricoltore di Cherby. Lo cono
scete?
—No.
—E' un siciliano, un brav'uo
mo di Bagheria. Lo chiamano 44 II
Re dei lamponi."
Poi si parlò d'altro.
Ma quando Nunzia Pepe portò
il caffé, Mercuri mi domandò im
provvisamente :
—Volete conoscerlo?
—Chi?
—Assiello.
—Volentieri. Fa sempre piace
re avvicinare una testa coronata...
anche se si tratta di una corona
di lamponi.
Mercuri chiamò il garzone al
quale diede qualche ordine, apri
un'altra bottiglia, scambiò alcu
ne parole con Nunzia Pepe, indi
usci.
10 lo seguii.
Salimmo nel calesse ; i cavalli si
slanciarono al trotto; la polvere ci
avvolse completamente.
Quanto sarebbe più bella la Co
lifornia... se non ci fosse la polve
re!
Assiello possedeva la bellezza di
800 acri di terreno fertile, soleg
giato, ricco d'acqua e di ogni ben
di Dio : una casa tutta bianca cir
condata da cedri, aranci e meLa
grani.
11 siciliano ci accolse colla mas
sima cordialità.
Era un uomo di circa 65 anni,
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15 N. Carpenter Ave. INDIANA, PA.
dal torace ampio, le spalle robu
ste. lo sguardo penetrante, le mani
solcate da grosse rene, i capelli
folti, grigi...
Sono qui da 35 anni, disse a un
tratto Assiello. quell 'epoca a
Cherby esistevano soltantq delle l
boscaglie. Io lavoravo nell'azien
da di Ramon Medez, un messicano
che abitava a Villa Rosa, a due mi
glia da Cherby. Quando ebbi rag
grenellato un po' di denaro com
pirai alcuni acri di foresta e comin
ciai a tagliare le piante. Poi pre
si un compagno : Marino Fiore, un !
giovane calabrese che aveva due!
braccia d'acciaio. Alla notte dor
mivamo a turno. Quello che ve
gliava era armato di fucile e ave
va cura di tenere accesso il fuoco
attorno la capanna... Sovente la
boscaglia echeggiava di ruggiti...
Passarono alcuni anni, anni di
lavoro, di speranze, di trepidazio
ni.
Volevo ammogliarmi, ma le don-*
ne difettavano. Vi erano soltante
tre ragazze nei dintorni di Cher
by: la figlia di Ramon Medez. la
sorella di un missionario protes
tante e la nipote di un <4 raneher"
irlandese. In quanto alla figlia del
messicano nessun giovanotto dei
villaggio poteva avvicinarla... A
vcva una superbia ! La sorella del
pastore era una buona creatura,
ma la quistione religiosa ci divi
deva. La nipote dell'irlandese nu
triva il massimo disprezzo per gl'-
italiani.
Un giorno arrivo a Cherby un
altro missionario. Era un france
scano parmense, un giovane ani
moso, pieno di fede edi zelo. Pa
dre Ernanzio—cosi chiamavasi il
nuovo arrivato—divenne subito
mio amico. Possedeva molte co
gnizioni. E mi dava dei saggi con
sigli.
Gl'indiani, pero, lo avevano ac
colto ostilmente.
Ina sera mi disse: "Vi é una po
vera giovinetta ammalata, la figlia
di Gagar (il capo della tribù). Co
nosco alquanto la medicina. Mi
sono presentato alla famiglia, of
frendo l'opera mia. ma ebbi un ri
| tìnto.
Assiello riempi i bicchieri, indi
prosegui :
—lo sapevo che nel vicino vil
laggio gl'indiani preparavano un
gran convegno al quale doveva in
tervenire anche Sagar. Infatti e
gli vi si recò, lasciando l'inferma
lin custodia della moglie e di un
suo fratello. Conoscevo quest'ulti
mo, perché era venuto parecchie
volte a chiedermi dei servigi. An
dai a visitarlo, gli parlai a lungo
della nipote, accennai al france
scano. I/altro mi ascolto, poi con
fabulo colla cognata. La donna
scosse il capo. Temeva la collera
di Sagar...
"Ebbene, dissi mentre stavo per
andarmene, domani la vostra
Wydna (era il nome della pazien
te) sarà morta." E ritornai a ca
sa. Due ore dopo lo zio di Wydna
venne da me.
"Dov'è il "father"! mi chiese.
"A Villa Rosa, risposi, ma ritor
nerà fra breve...
"Lo aspetterò, disse l'indiano.
E allorché, padre Ermanzio ar
rivò, lo zio di Wydna ebbe una so
la parola :
44 Vieni.
11 missionario passò tre giorni e
tre notti nella tenda dell'amma
lata.
Quando Sagar ritornò, trovò la
figlia completamente guarita.
Il capo tribù volle vedermi.
"Mio fratello mi ha raccontato
tutto, diss'egli.
E depose ai miei piedi un fascio
di pelli.
("Continua a pagina 8)