La libera parola. (Philadelphia, Pa.) 1918-1969, February 15, 1919, Image 4

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    pendice de "l-a Übera Parola" Numero 42
FRANCESCO MASTRIANI
LA CIECA DI SORRENTO
ROMANZO
Non sfuggì a Gaetano lo sta
to d'animo di Beatrice e lo attri
buì alla prostrarne nervosa in
cui l'aveva lasciata la febbre.
Per fugare questa tristezza. Gae
tano volle che la giovinetta si al
zasse dal letto per riacquistale
quella forza fìsica che infonde
forza allo spirito, e per trovar sa
lutari diversioni.
La mattina seguente, dunque,
Beatrice si alzò. Pareva si fosse
levata da una lunga malattia; a
veva le guance smorte, le palpe
bre pesantj, inappetenza, debo
lezza estrema, tanto che a mala
pena, sorretta da Carolina e dal
padre, potè recarsi nel salotto.
Beatrice si adagiò sopra un di
vano. In tutto il corso del gior
no non prese altro che una tazza
di brodo, nonostante le molte i
stanze che le venivano fatte per
chè si nutrisse di sostanze più
valide e capaci di rimetterle vi
goria.
Il giorno dopo, la giovanetti si
sentì meglio e sedè alla tavola di
famiglia, mangiucchiando volen
tieri. La sua perfetta guarigione
sembrava imminente.
La stanza nuziale intanto ri
maneva vuota. Molti giorni scor
sero da che Beatrice si era quasi
ristabilita, ma Gaetano non par
lò de' suoi diritti di sposo. Anche
quando la scienza non* vi avesse
trovato Ostacoli (poiché un cam
biamento nello stato di Beatrice
poteva esserle funesto), Gaetano
avrebbe sempre aspettato ur
cenno del marchese per correre a
quella felicità alla quale più nor
ardiva sperare.
Al secondo piano della villa,
destinato per lo più alla duchessa
di F***, zia del marchese, c'era
una stanza che rimaneva sempre
chiusa. Nessuno poteva entrarvi,
tranne il marchese, il quale ne a
veva la chiave. Quella stanza era
esclusivamente consacrata ad Al
bina di Saintanges. vale a dire,
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di uso della donna infelice: og
getti che le furono cari e che il
marchese conservava intatti ;
mobili da lei prediletti e di suo
uso quotidiano; vesti ed abiti di
lei, e tutti quei piccoli oggetti
per lavori donneschi, a cui la ma
dre di Beatrice si dedicava nelle
sue ore di solitudine; eranvi al
tresì i libri che ella soleva leg
gere di preferenza.
Ogni giorno il marchese visi
tava quella stanza chiudendosi
dentro a chiave, e vi rimaneva
pwhi minuti. Era per tutti un
mistero l'impiego che il marche
se faceva di quei momenti ; il do
lore assume negli uomini fogge
così diverse! Forse egli piegava
in quella stanza per l'anima del
la sventurata consorte; forse si
abbandonava al pianto delle re
miniscenze ; certo è però che Rio
nero ne usciva tranquillo e sere
no, quasi avesse il cuore soddi
sfatto.
Parecchie volte Beatrice, du
rante il tempo della sua cecità, e
ra stata menata in quella stanza
dal padre: di solito il marchese
sceglieva i giorni più memorabili
e cari per circostanze, come il dì
natalizio di Albina, il giorno del
loro matrimonio, l'anniversario
della nascita di Beatrice. Il mar
chese recitava aiiora in quella
stanza, unitamente alla figlia, le
preghiere per l'estinta. Èra un
giorno di giubilo, per la cieca,
quello in cui le veniva concesso
di visitare la stanza della madre,
triste piacere che il padre le con
cedeva raramente, poiché scote
va troppo la sensibilità della fan
ciulla. la quale si abbandonava in
quegl'istanti a tutta la tenerezza
che le ispirava la memoria della
cara genitrice.
Ricorreva appunto l'anniversa
rio del giorno natalizio di Albina.
' il 12 luglio.
Beatrice aveva aspettato con
(impazienza il ritomo di questa
I giornata, poiché per la prima voi-
ta il Cielo le concedeva di visita
re la stanza della madre nel pie
no godimento della vista. Ben
ché Rionero non avesse voluto
permetterle in sulle prime di an
dare a ritrovare quelle care me
morie a cagione dello stato di ec
citabilità nervosa in cui si trova
va la figliuola non ancora del tut
to ristabilita dalla sua ultima
malattia, non seßpe resistere al
le costei preghiere caldissime.
Beatrice gli disse che aveva tan
to affrettato coi sospiri il ritor
no del 12 luglio; soggiunse che
ella si ammalerebbe certamente
se le fosse vietato di stare solet
ta per qualche ora nella camera,
ed il marchese dovè contentarla,
raccomandandole vivamente di
trattenersi colà il meno possibi
le.
11 marchese Rionero non ave
va detto a Gaetano dell'esisten
za di questa camera, poiché sa
rebbe stato un lacerare l'anima
di quel giovane, ricordandogli la
vittima del padre: né gli aveva
rivelato ciò prima di avere sco
perto in lui il figliuolo di Nunzio,
poiché non credè necessario di
metterlo a parte dei segreti del
cuore. Tanto meno il marchese
aveva confidato questo segreto al
conte Franconi e a sua figlia; e
gli era geloso dei proprii affet
ti, e la memoria della moglie a
veva per lui qualche cosa di così
sacro, ch'ei temeva di profanare
al contatto degli altri. Non dissi
muliamo che il marchese Rione
ro, educato alla francese, aveva
contratto i pregiudizi di questa
nazione, e tra gli altri paventava
sommamente di essere biasimato
in qualche cosa che non si
addicesse ai costumi ed agli usi
della buona società, la quale ha
imposto regole severe anche alla
espansione della tenerezza e del
dolore: bisogna piangere in re
gola, ridere senza urtare i nervi
delicati degli astanti. In cotesta
buona società, l'amore coniugale
deve essere compassato e disin
volto; le grandi passioni non si
ammettono che nel teatro o ne»
romanzi, e un uomo che dopo
vent'anni rimpiange ancora la
mocrlie estinta e ne serba vivo ri
cordo. è messo all'indice degli
uomini ridicoli!
Faceva dunque bene il mar
chese Rionero serbando nel più
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ni di affatto che alleviavano o
gni giorno il cordoglio, ancora in
tensissimo, per la perdita di una
sposa adorata.
Rionero e sua figlia si acco
miatarono per poco dai loro ospi
, ti, come se si fossero recati al
passeggio; ma invece salirono al
secondo piano e si recarono difi
lato alla stanza di Albina.
Quella camera era disposta
come se fosse abitata dalla don
na a cui appartenne. Tutte le
suppellettili erano leggiadramen
te ordinate con quel gusto e con
quella simmetria che colei sole
va porre in tutto ciò che le
apparteneva o che faceva di sua
mano. Entrando in quelle stanze.
Beatrice fece un grido di .sorpre
sa, e due lacrime le vennero giù
' dalle gote. Ella aveva veduto, ap
peso ad una parete, il quadro
rappresentante la Vergine Ma
dre, di Raffaello, quadro
che stava appunto nella camera
nuziale di Albina, nel villino a
Portici. A quella Vergine Madre
ogni giorno Albina faceva vol
ger gli occhi e le preci di Beatri
ce bambina, allorché questa si al
zava da letto.
Anche questa volta il marche
se e sua figlia pregarono la re
quie etema all'anima della cara
donna. Poscia il padre, per cede
re al desiderio della figliuola, si
allontanò, lasciandola sola in
quel tempio di strazianti memo
rie.
Beatrice toccò e baciò come so
leva ogni oggetto: si sedè sulla
poltrona nella quale ordinaria
mente soleva sedere la madre
quando si abbandonava alla let
tura; aprì la libreria, guardò u
no per uno tutti i volumi che vi
erano chiusi, e molti ce n'erano
nelle cui pagine un pezzettino di
carta segnava i passi più note
voli e che più avevano eccitata
l'ammirazione della lettrice. E
rano massime sapienti, pensieri
di elevata morale, passi atti a
consolare i più grandi dolori e
le sventure più tremende. Albina
conosceva la lingua inglese, la
francese e l'italiana; perciò i suoi
libri erano di autori che scrisse
ro in queste lingue.
E' superfluo il dire che la fan
ciulla non lasciava inosservate le
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'cava tutto, e tutto considerava
jcon attenzione grandissima.
Aprì il cassettone dov'eran
conservate le vesti della madre ;
le spiegò e le baciò ad una ad u
na, versandovi sopra un fiume di
lacrime. Beatrice ritrovò altresì
! i suoi vestitini, le sue carnicine,
le sue masserizie e i suoi trastul
li di bimba.
Eran momenti di straziante
tenerezza per quella fanciulla; el
la ritrovava l'aurora della sua vi
ta, l'affetto 3i una madre tene
rissima; in ogni oggetto ella
scorgeva una cura, un pensiero
di caldissimo amore, un provve
dimento, una saggezza esempla
re.
Lo scrigno, dal quale Nunzio
Pisani rubò la cassettina delle
gioie, era tra le suppellettili.
Beatrice ne aveva avuta la chia- !
ve dal padre, e si affrettò di vi
j sitare quest'ultimo testimone del
martirio della madre sua.
Questo mobile era diviso in va
ri scompartimenti ; vi erano mol- j
tissimi cassettini che si apriva
[ no per lo scatto di diverse molle ;
le gioie, gli ornamenti ed altri
; oggetti di lusso appartenenti al
la marchesa erano ivi conservati.
Beatrice li andava rovistando l'u- !
no dopo l'altro, cacciava la mano
ne' più reconditi nascondigli di,
quel mobile, e nuovi oggetti col
pivano la sua vista. Nel frugare j
in uno dei cassettini, le dita della
fanciulla premettero un botton
cino: una botoletta si aprì, ed un
oggetto apparve agli occhi di lei.
Era un ritrattino in miniatu
ra.
Beatrice fece un grido di sor
presa, prese in mano il ritratto e
si pose a guardarlo. I suoi occhi j
scintillavano di maraviglili e di;
piacere; il suo volto si soffuse di
rossore.
Frattanto un leggiero picchio
alla porta fu udito. Beatrice per
|un movimento involontario, na- ;
scose nel seno il ritrattino e an
; dò ad aprir l'uscio.
Il marchese Rionero veniva
dolcemente a rimproverarla di
essersi trattenuta in quella stan
za più di tre ore.
VII.
La festa di Ballo in Napoli.
Molt; giorni passarono dal dì
■in cui Beatrice visitò la stanza
'del)a madre.
Nessun notevole avvenimento |
era accaduto nella villa; la calma ;
pareva rinascere, tranne che la
fanciulla deperiva un giorno più
dell'altro, senza che nessun sin
tomo di malattia si manifestas
se in lei. Gaetano seguiva con la
più perplessa ansietà lo stato di
animo della giovane ; si sforzava '
di richiamar sulle sue labbra il
sorriso e la letizia, ma indarno,
poiché sembrava che ogni viva
cità fosse morta in Beatrice.
Il marchese Rionero pensò di
1 sviare la tristezza della figliuola
conducendola un giorno nella ca-
I pitale. |
(Continua)
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