Appendice de "La Libera Parola" Numero IO
FRANCESCO IVI ASTRI AINII
LA CIECA DI SORRENTO
ROMANZO
—ln uno scrigno accanto al
letto sta la cassettina in cui sono
riposti tutti i gioielli regalati dal
marchese a sua moglie per dono
«li nozze, oltre quelli di proprietà
di lei. Credo che ci sarà per venti
o trentamila ducati.
Come diavolo sai tutto que
sto?
Nell'estete scorsa, sotto un
frivolo pretesto, venni a far visi
ta al marchese in questa villa per
studiarne la topografia. Dopo es
serci intrattenuti una mezz'oret
ta, egli fu da me pregato di far
mi vedere tutto il quartiere. At
traversammo allora varie stanze,
e fra le altre quella della moglie.
Magnifica posizione pel nostro
affare! Una terrazza all'altezza
di due uomini appena riesce so
pra l'attigua villa di sua proprie
tà. Il balcone di questa camera a
pre sulla terrazza. Di ciò discor
reremo per la via. Intanto, per
dirti qualche cosa, le cassettine
dello scrigno erano aperte, ed io
vidi la scatoletta delle gioie. Fin
si di non essermi accorto di tut
to ciò; ringraziai il marchese del
la sua compitezza, feci del mio
corpo un arco per ossequiare la
bella marchesa, e mi affrettai ad
uscire. Che ti pare, eh? Mi dice
il cuore che la scatoletta non è
stata rimossa da quel luogo; poi
ché so che la marchesa passa
quasi tutto l'anno a Portici.
Vedo che la fortuna ti guar
da di buon occhio, vecchio notto
lone; fu proprio una buona stel
la quella che mi fece imbattere
in te. Dimmi un poco: la marche
sa è bella, non è vero?
To'! to'! Che ti salta in te
sta, ora? Vorresti divertirti a far
l'occhiolino alla marchesa invece
che ai gioielli?
All'una e agli altri.
Così ragionando da pari loro,
quei due malandrini giunsero al
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zioni intorno alla villa per tro
vare il punto di facile accesso, e
rifocillatisi alquanto in una bet
tola, aspettarono il domani per e
seguire la loro opera infernale.
V.
L'ASSASSINIO.
La villa del marchese Rionero
fomiava un'isola in mezzo ad ü
bertosa valle, la quale era in par
te coltivata a vigneti, ad agrumi
ed altri alberi fruttiferi. Circon
dava la villa, dalla parte di Nà
poli, un'elegante inferriata con
cancello e porta di ferro; dalla
parte interna di Portici un mu
ro alto e spesso, come sono quasi
intorno a tutti i poderi e le ville
dei dintorni di Napoli. Quella vil
la aveva due piani e uno a ter
reno, dove dormivano il cocchie
re, il mozzo di stalla e il giardi
niere con la sua famiglia; il pri
mo piano era l'appartamento del
marchese e della sua famiglinola,
composta della moglie Albina di
Saintanges e d'una bambina di
circa tre anni, primo frutto del
loro matrimonio; il secondo pia
no, benché addobbato con elegan
za al pari del primo, era vuoto,
destinato alla baronessa di Saint
anges e alla zia del marchese
quando queste gentildonne veni
vano a Portici.
Benché la stagione fosse rigi
dissima, Albina aveva pregato il
marito di condurla in quella villa
dove avrebbe passato i pochi gior
ni dell'assenza di lui. Eil mar
chese, che amava sempre la mo
glie con la medesima esaltata
passione con cui l'aveva amata
fin dal primo giorno che la vide,
si era affrettato di fare la volon
tà di lei ; e appena ricevuto il i
messaggio di partire, l'accompa- i
gnò a Portici. Sarebbe partito il 1
giorno dopo se la neve, caduta in
tanta copia, non lo avesse co
strotto a prorogare almeno d'un
giorno il suo viaggio.
I na trasformazione completa
erasi operata nel carattere di Al
bina dal momento in cui il cielo
l'aveva fatta madre. Quella co
stante tristezza che gravava su
lei per l'addietro, era mutata in
somma tenerezza per la figliuola.
Non si può diradi quale e quan
to amore ella amasse quella crea
tura! E' vero che negli occhi di
quell'angioletta era un raggio de
gli occhi di Erico Monfort! Albi
na non sapeva dividersi un solo
istante da Beatrice (questo era il
nome dela bambina), la guarda
va sempre, la stringeva al cuore,
la baciava sugli occhi, sulla fron
te, sulle labbra, sugli occhi mas
simamente, e si sentiva tanto fe
lice nell'abbracciarla e nel baciar
la, che piangeva di contentezza,
e benediceva Dio e suo marito, il
nobile, il generoso Rionerò, l'uo
mo della più intemerata virtù e
del più delicato amore. Albina
passava le intere giornate senza
altra occupazione che quella di
tenere tra le braccia la pargolet
ta e divorarla di baci. Ed ecco
perchè preferiva la dimora in
campagna, avendo colà più agio
di starsene con la figlia e deli
ziarsi in quell'amore che era per
lei un delirio continuo.
Ed aveva ragione di voler tan
to bene a quella bambina, poiché
non ne esisteva altra più bella,
più carina e più buona di lei. A
veva i capelli biondi come tanti
anelli d'oro, le guance rosee, gli
occhi pieni di tanta dolcezza, che
erano melanconici a quell'età così
infantile: erano occhi di giovi
netta nel volto d'una bambina;
allorché essa guardava la madre,
correva fra loro una sentita cor- '
rispondenza di affetti, e gli occhi
della bimba contenevano un mi
stero. una pena, un'angoscia in
dicibile, ch'era cagione del delirio
amoroso con cui la madre la ba
ciava sempre con desideìio nuo-l
vo.
TI giorno appresso al 22 gen- ;
naio 1827, il marchese abbrac- j
ciò sua moglie, baciò la bambina,
montò in carrozza, e disparve.
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Albina rimase sola in cassi con j
la fanciulla.
Per istinto di solitudine e per
abbandonarsi alla sua tenerezza
verso la figlia, essa l'aveva nutri
ta e allevata da sè medesima, e
non aveva mai voluto affidarla a
cameriera o a balia. Per quante
preghiere il marito le avesse ri
volte di tener presso di lei una
cameriera, essa mai aveva volu
to acconsentirvi, dicendo che dal
l'istante in cui era divenuta ma
dre non aveva bisogno d'altra
compagnia che quella di sua fi
glia.
Durante il giorno, non altre
persone entrarono in casa che il
cuoco e un cameriere. La notte,
Albina, per tutto il tempo che
sua marito era assente, stava so
la nel suo appartamento.
La giornata del 23 gennaio e
ra stata triste e freddissima; la
neve copriva ancora le campagne,
le alture dei monti, i tetti e le
terrazze delle case. Verso il calar
del giorno, si era levato un for
tissimo vento boreale. Da qual
che ora eran cadute le tenebre,
allorché la fanciulletta Beatrice
si addonnentò sulle braccia del
la madie.
Senza saperne il perchè, Albi
na avrebbe voluto che la figliuo
letta non si fosse addormentata
così presto in quella sera, poiché
la solitudine della campagna le
sembrava più tetra allorché sua
figlia dormiva.
Essa la tenne a lungo nelle sue
braccia prima di porla nel letto ;
non si saziava di guardarla e di
baciarla* sperava di ridestarla
coi baci; ma il sonno di una
bambina di tre anni è grave e
profondo, specialmente nelle ca
mere silenziose d'un quartiere re
moto, e allorché il vento di terra
canta fuor dei balconi la ninna
nanna.
Bisognava porla in letto, poi
ché il freddo era troppo intenso
e già le gentili membra di quel
l'angioletta s'intirizzivano nelle
braccia della madre. Albina le
tolse lievemente d'addosso i pan
nicelli di seta; la contemplò un j
istante tutta ignuda; coprì di ba
ci tutto il corpo della bambina, !
e finalmente, quando le ebbe mes- '
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• notte, non senza riluttanza andò
a porla sotto le coperte. Pose sui
cuscini cremisi con nappe di fili
d'oro, e le rincalzò la coperta sot
to le spalle per timore che una
particella di quel caro corpo ri
manesse scoperta ed esposta alla
rigidezza dell'aria. Quando si fu
assicurata che la figliolina era
ben riparata dal freddo, quella
tenerissima madre congiunse le
mani in atto di preghiera, rivol
se gli occhi ad una copia della
Madonna di Raffaello, sospesa, in
magnifica cornice d'oro, sul letto,
e, recitata un'ave, fece il segno
del cristiano sul capo della sua
creaturina.
Poco dopo, anche la madre e
ra nel letto addormentata, e
strettamente abbracciata alla fi
glia.
Un'elegante lampada da notte
rischiarava la camera.
Un orologio da tavolino batte
va le undici. In quel momento Al
i bina faceva un orribile sogno.
Le pareva che un uomo di or
rendo aspetto fosse entrato in
quella camera dal balcone dell»
terrazza, che si fosse accostato al
letto in cui ella e la bambina ri
posavano, che avesse sollevato le
| coperte. E, nel tempo stesso, un
; freddo sudore bagnava la fronte
e le gote della giovine madre, e
un brivido orrendo le scoteva le
membra, che ella cercava di na
| scondere agl'infami sguardi di
quell'uomo. Aveva il respiro an
goscioso ed oppresso, e stringeva
fortemente al seno la piccina te
mendo che venisse strappata alle
sue braccia.
Questo sogno era tanto orribi
le, che ella emise un grido soffo
cato, e si destò. Si pose a sedere
sul letto, e guardò intomo a sè
Ah, il sogno era tremenda real
tà!.... Un uomo la guardava con
infernale sorriso !
Ella emise un grido straziante,
e tirò subito la coperta su tutto
il suo corpo, coprendosi anche il
capo.
La fanciulla si mosse un istan-
I te sentendo freddo.
L'uomo intanto si era accosta-
I to al letto, e col pugnale cercava
di schiuderlo.
Albina, presa da spavento indi
cibile, aveva tirato fuori il capo, !
! implorando con voce soffocata e
poco intelligibile:
La vita! la vita! Non mi uc
cidete Ho una figlia ... una
bambina
Le chiavi di questo scrigno,
disse ferocemente.
—Là dentro da quella par
te vicino al mio tavolino da la
voro.
Il ladro corse a prendere la
chiave nel luogo indicato, aprì in
fretta lo scrigno, rubò la cassetti
na e una borsa di monete d'oro
contenuta negli scompartimenti
quel mobile.
Dov'è l'altro denaro?
chiese poscia.
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villa.
—Tu nienti il denaro, ti di
co, il denaro..,.. L'altro dov'è?
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