La libera parola. (Philadelphia, Pa.) 1918-1969, June 22, 1918, Image 4

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    LA LIBERA PAROLA
(The Free Word)
PUBLISHED EVERY SATURDAY
hy
A. GIUSKPPK I>l SILVESTRO
EDITOR-IN-CHIEF
906 Carpenter St. Phila.. Pa.
Bell Phonr. Walnut 74-72
Anno 1. - Giugno 22, 1918 - No. 10
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LA LIBERA PAROLA
motti di spirito
chiacchiere
e freddure
giornalismo
e giornalisti
Pasquale Farina, professore nel
campo dell'arte a 18 anni, avendo mo
strala la velleità di diventare giorna
lista, incominciò a fare all'amore con
Costantino Costantini e nei discorsoni
che gli teneva gli andava esponendo
tutto un programma radioso per l'av
venire de "Il Momento", giornale set
timanale che di quei tempi era contro
il solito faccendiere coloniale.
"Aggiungendo la parte inglese", ra
gionava Pasquale Farina, professore
nel campo dell'arte a 18 anni, "io, che
ho molte aderenze fra gli americani,
farò colpo su di essi e le ditte, nelle
quali sono interessati, sentiranno la
necessità di darci la loro reclame.
Pubblicando poi le vignette, non im
porta se esse costeranno un occhio, e
parlando continuamente di arte, riusci
remo a convincere le autorità cittadine
a ricordarsi di me per i tavori di re
stauro".
c'è bisogno di (lire se queste previ
sioni facevano fare l'acquolino in boc
ca a Costantino Costantini ? Infatti in
«gni angolo di strada si vedeva costui
c lo si sentiva dire e ripetere che il
suo giornale sarebbe presto diventato
un bel giornale, un grande giornale, un
gjornalone.
Mentre le trattative erano a buon
punto, venne io scandalo suscitato da!
faccendiere coloniale per l'arrivo
della Missione; venne il risentimento
della colonia: vennero gli ordini del
giorno, mentre si andava preparando
il comizio di protesta.
momento opportuno per Pasquale
Farina, professore nel campo dell'arte
a 18 anni, che dal faccendiere aspet
tava l'appoggio per quella tale decisio
ne delle autorità cittadine!
il telefono incomincia a lavorare; i
camerieri del Manufacturer's Club ap
prestano le tavole per le colezioni che
si moltiplicano; l'interesse del nostro
protagonista per la così detta Federa
zione si sveglia e si accentua, e la vel
leità di scrivere tutto lo conquide.
pare fosse stato in uno di questi in
contri che Pasquale Farina, professore
nel campo dell'arte a 18 anni, avesse
detto al faccendiere coloniale: "ma la
sci fare a me, cavaliere; con il Prof.
Pasquale Farina non si scherza, met
terò a posto io quella canaglia", e sic
come, incoraggiato dal momento p9Ìco_
logico, pare anche si fosse intrattenu
to a parlare, con idee grandiose, della
trasformazione de "Il Momento" il
faccendiere coloniale che, dopo tutto,
non è un imbecille, parando subito il
colpo, gli avrebbe risposto: "ma pro
fessore, ha lei dieci o quindicimila
dollari da buttar via?"
l'articolo che Pasquale Farina a
vrebbe dovuto pubblicare sull'Opinione
doveva essere scritto in inglese e la
stampa americana avrebbe dovuto ri
produrlo. E l'articolo fu preparato
mercè l'intervento di uno scrittore di
un giornale North americano. Ci è sta
to riferito da persone degne di fede,
che se fosse stato pubblicato com'era
scritto, nessuno avrebbe potuto impe
dire che a Pasquale Farina, profes
sore nel campo dell'arte a 18 an
ni, fosse data una lezione manua
le. Cosicché sconsigliato, invece
che in inglese e sull'"Opinione" fu
inserito in italiano «u "Il Momento".
Tutti ricordano quel monumento di
bello scrivere e di incoerenza. Uno
scritto incompreso ed incomprensibile.
Ma Pasquale Farina, professore nel
campo dell'arte a 18 anni, si giustifi
cò dicendo che aveva scritto per pa
triottismo perchè convinto che i panni
sporchi si debbano lavare in famiglia.
Pasquale Farina, patriota! quando è
risaputo, tanto per dirne una, che una
società paesana, che l'ha a socio ono
rario, avendolo invitato ad un'opera di
assistenza civile, non ha avuto nean
che il piacere di ricevere una risposta. '
a proposito
di coerenza
non perchè volessimo difendere chi
di difese non ha bisogno, ma deside
reremmo che i dormienti si svegliasse
ro e rivelassero il loro nome, per sape-,
re se certe lezioni di moralità e di coe
renza sono date da persone superiori
ad ogni sospetto.
salvato dal suicidio
un nostro insigne colono nutri
talo due o più volte e con figli, aveva
fatto credere non ad una ma a diverse
signorine che le avrebbe sposate. Sco
perto il trucco il nostro Don Giovanni I
minacciò di togliersi la vita. Commos
sosi il nostro Jack corse subito al sai- ;
vataggio. In compenso di questo no
bile atto, l'insigne colono, che sa così
bene imitare il commediografo Scar
petta, promettendo a questa e scon
giurando quella, oggi mal digerisce
l'amico Jack, sólo perchè questi è con
tro il faccendiere coloniale che una
voita tentò di prendergli ì frutti dei j
suo lavoro.
invito a pagamento
mercè il pagamento di un dollaro |
cadauno Aristodemo, non quello della i
tragedia, parecchi giorni fa invitò a j
casa sua diversi fratelli di una istitu- j
. zione. A pranzo consumato qualcuno ,
ringraziò delle cortesie ricevute, ma ;
non disse verbo circa il dollaro paga-j
to. Ragione per cui siamo stati incari
cati noi di ricordarlo.
per finire
Un padre ritrova dopo mezzanotte
un suo figlio fermo in una piazza. Gli
batte in una spalla e dice:
Che fai qui?
Aspetto una cittadina.
SUPER ASPIDI E! CASILISGUM
Attila e Guglielmo
L'autore di queste brevi note stori
che è un uomo, cui può essere negato
! ogni merito, tranne quello d'aver volu
to vedere il diavolo da vicino e d'aver
lo fatto ballare. E come il natale del
Rinnovamento dell'arte in Italia è se
gnato dalla notte, nella quale il diavo
lo apparve nel sogno ad un pittore per
rimproverarlo d'averlo dipinto più
brutto di quel ch'ei fosse; così la di
sciplina d'un pensatore virile s'inizia
dallo scontro del proprio diavolo, o
spirito che sia, con i tanti e vari dia
voli abitatori della creta d'Adamo.
Questa volta, osservino i miei let
tori, ho due diavoli fra le mani: Atti
la e Guglielmo, unno l'uno e tedesco
l'altro.
Il re degli Unni si lamenta, come
il diavolo della leggenda, d'essere sta
to raffigurato più brutto di quel ch'ei
fu quando era in vita.
"Leggi," m'ingiunge Attila, "leggi
le tue storie latine e quelle gotiche e
saprai se m'hai offeso ritraendomi co
me l'archetipo dei mostri alla Gu
glielmo".
L'imperatore dei tedeschi è un bel
l'uomo: io bruttissimo fui; ma la mia
deformità fisica non fu uguale alla
pravità di cuore di quello, perchè la
supera; il mio cuore d'Unno, però,
l'iella guerra cercò l'idillio e la ventu
| ra delle armi tentò con animo e modi
da cavalier'errante, quasi da cavalier
servente dell'imperiale donzella
"Salsi colei che inanellato pria,
disposando, m'avea con la sua gemma"
Amor mi trasse a sfrenare le mie
orde di devastatori sui colli della Ve
nezia; e non la forza dei Romani mi
indusse a levar le tende dall'ltalia e
a tornarmene in Pannonia, rimandan
do gli ambasciatori lieti a portar la
! novella che lioma era salva per la
grazia dell'Unno.
Fui re analfabeta e non imperatore
enciclopedico; ma non distrussi Lo
vagno, centro di cultura e arca santa
di codici preziosissimi alle genti col
te.
10.... "voleva più dire l'Unno; ma
posi fine al suo lamento, rassicuran
; dolo che giustizia gli sarebbe stata
resa; chè il romano è giusto anche co 1
barbari; e, com'è mio uso, passai al
servizio di Attila, a beneficio del qua
le corsi a leggere le storie di Ammia
nus Marcellinus, un milite romano, che
negli ozi della pace, da testimonio
oculare, descrisse gli Unni al loro
primo irrompere in Europa.
"La nazione degli Unni," scrive Ani
mianus Marcellinus, "poco nota nelle
antiche istorie, estendentesi dal mar
d'Azof al mar ghiacciato, supera tutti
; i barbari in barbarie.
Nei primi anni d'infanzia, l'Unno è
sfregiato dai genitori con ferite sul
le guancie, affinchè negli anni della vi
rilità le conseguenti cicatrici impedi
scano il crescere della barba e dei baf
;fi; ond'è ch'egli raggiunge la matu
! rità e la vecchiaia, come un eunuco,
sbarbato e sbaffato.
L'Unno ha membra vigorose e sim
metriche e bel collo; ciò nonostante
la sua figura è un prodigio di brut
tezza: il suo dorso è così piegato che
tu lo prenderesti per un animale bi
pede o per que' pali mal tagliati che
si vedono sorreggere i ponti. E come
, esso non ha quasi sembianza d'uomo,
così conosce tanto poco la civiltà che
non usa fuoco nè altri. ingredienti per
I preparare il cibo, nutrendosi di radi
ci che trova per i campi e di carne
mezzo-cotta d'ogni sorta d'animali.
Dico mezzo-cotta, poiché l'Unno dà
! una certa cottura alla carne metten-
Mala fra le sue coscie e la groppa del
cavallo.
Questo barbaro non cerca mai ri
covero nelle case, che riguarda quali
sepolcri, o v'entra soltanto se costret
to dalla più dura necessità: errando
per montagne e per selve è educato
fin dall'infanzia a sopportare la fame
e la sete estremi e non si fabbrica
nemmeno una capanna qualunque fat
ta di canne.
Pezze di lino o pelli di talpe cucite
insieme coprono la sua persona; e lo
stesso vestito egli usa in casa e fuori;
c una volta che abbia indossato una
; di siffatte tuniche, non la cambia fin
i chè questa non cada a brandelli. Pel
j le di capra copre le sue gambe vellose
, e curve berrette gl'incorniciano la te
sta. Va calzato, ma cammina penosa
! mente, chè le acarpe non sono confor
mate ai piedi, ed è reso per ciò ina
datto agli scontri fra pedoni. D'altra
parte, egli forma un corpo solo col ca
• vallo, brutto a vedersi anch'esso, che
spesso cavalca alla guisa delle donne,
, in groppa al quale vive notte e giorno,
i compra e vende; e, quando scende la
notte, si piega sullo smilzo collo del
|suo animale e vi cade su in profonde
sonno o vagola fra gli strani fanta
smi dei sogni. Sorgendo una disputa
su questioni importanti, egli caval
cando si reca al luogo dell'adunanza.
Le deliberazioni non sono rese so
lenni da alcuna austerità di re; ma,
' pur essendo nell'insieme soddisfatte
della guida disordinata dei capi, l'Un
no non ha ritegno ad interrompere I
; dibattiti con qualunque idea gli frulli
per il capo.
Sul campo, gli Unni, se attaccati
resistono talvolta all'urto in ordine di
battaglia e riempiono l'aere con urli
| e grida varie e discorsi. Più spesse, es
si combattono senz'ordine di battaglia
ed essendo molto veloci e presti nei
movimenti si sparpagliano per poi
raccogliersi rapidamente in. rade for
mazioni e apportare così rovina sui
vasti piani o mettere a sacco il campo
Ma da quest'ora, non ci sono I
cittadine in piazza.
A quattro ruote no, ma a due !
gambe sì.
OPERAIO: più tu lavori più tu j
concorri ad ottener la vittoria sui bar- j
bari invasori. I nemici fanno affida- i
mento sul tuo mancato lavoro per le j
munizioni e in attesa che ciò awen- !
ga maggiormente si imbaldanziscono. I
Ogni rilassatezza nel tuo lavoro è il j
prolungamento della guerra.
LAVORA DI PIÙ'
SANCIO PANZA
del nemico, prima che questi siasi av
veduto del loro avvicinarsi.
* ♦ ♦
Non v'è alcuno fra essi che coltivi
la terra o che guidi l'aratro. Tutti va
gano senza lissa dimora, senza casa,
j senza legge o sancite usanze, con Car
li per albergo, dove le loro mogli
essi sono poligami tessono lor vesti
schifose e allevano la prole fino alla
i pubertà. Se tu ne l'interroghi, non v'è
alcuno fra loro, che sappia dirti il suo
luogo d'origine: ei fu concepito in un
luogo e partorito in un altro, allevato
in un altro ancora, forse più lontano.
; Gli Unni sono violatori delle tregue
incostanti; sempre pronti a lasciarsi
andare dove li meni il primo alito d'un
nuovo desiderio; alla rabbia arrende
voli senza resistenza alcuna.
Finalmente, quali animali privi di
ragione, essi sono incapaci di distin
guere ciò ch'è apparente da ciò ch'è
reale. Sono, però, maestri nei giuochi
di parole e abbondano di detti impe
netrabili.
Sgomento di superstizione non li
commuove e li arde una sete d'oro
inestinguibile.
Essi liticano con i compagni senza
esserne provocati e, nello stesso giar
-1 no, senz'averne ricevuto soddisfazio
ne, si riconciliauio.
* * *
Tali erano gli Unni verso la fine del
quarto e il principio del quinto seco
lo, prima ch'essi dall'incontro co' Ro
' mani potessero dirozzarsi alquanto
della nativa barbarie e Attila li gui
dasse in Gallia a farsi sconfiggere e
in Italia a distruggere e a volgere in
fuga ossequiosa davanti agli apostoli
Pietro e Paolo minaccianti come
vuole la leggenda o in cospetto del
la carità di patria di Leone primo,
: pontefice e cittadino romano, come in
segna la storia.
■ Che gli Unni distruggessero le cit
j tà per cui passavano non è maravi
j glia, nè da imputarsi a colpa del loro
re.
| I barbari tutti traevano verso Roma
i e Bisanzio, verso la civiltà greco-lati
na degl'imperi d'Oriente e d'Occiden
te: i Goti di Teodorico e più tardi i
Longobardi; altri per goderne in un
amplesso il quale non poteva essere
j che distruzione e schianto, quali i Vi
j sigoti d'Alarico, i Vandali di Gense-
J rico, e gli Unni d'Attila.
| Quest'ultimo agognò mai a fondare
I un suo impero sulle rovine di quelli
; di Roma e di Bisanzio, poiché tale im
j presa era superiore alle capacità e a
-1 gli usi d'un barbaro puro, essendo più
che guerra, una contesa con gl'istru
menti e le arti della pace co' Soma
i ni e co' Greci per vivere in mezzo ad
| essi come loro signore. Cotali impre
: se non sono possibili a barbari puri,
! come Attila, ma a quelli colti, quali
j Teodorico e Ainalasunta, donna tra
i gotica e romana.
L'architettura, i modi del viver ci- !
i vile e domestico e fino a un certo se-.
i gno il cadere dei romani poterono .in-'
! crociarsi con i nuovi elementi barba
i liei e farsi gotici alcun poco; ma non
ì avrebbero mai potuto "unneggiarsi."
Gli Unni apparivano ai Romani,
i quali Ammianus Marcellinus li descri
| ve, animali privi di ragione
! con appena le sembianze di
| uomo; e come tali distrusse
ne, ma per infondere nel giuocattolo
■ della civiltà greco-latina capitata lo
ro nelle mani quel po' di vita ch'ei
; conoscevano, per farne un uso qua
j lunque di essa come di cosa altrimen
! ti inutile e inerte.
Gli Unni, infatti, del tempo d'Atti- j
la erano meno barbari <Ji quelli con- 1
temporanei d'Ammianus Marcellinus j
! e potevano essere frenati nell'atto di
manomettere ciò ch'essi non compren
devano, ma che altri proclamava es- j
j sergli caro ed essere grande.
Il senso di sgomento che Attila !
provò dinanzi a Lupus, vescovo di |
Troyes, e a Leone primo, non trova !
la via del cuore negl'imperiali del- !
l'Hoenzollernismo.
Fra barbari affini agli Unni, Attila
potè estendere i suoi, domini e lascia-1
re un buon ricordo di sè, se non una
propria dinastia. Le saghe scandina- ;
ve e germaniche principalmente can- j
tano di lui con accenti di simpatia.
La "frightfielness" d'Attila, il ter
rore che questi spargeva, era parte in- !
volontario, derivando dalle distruzioni
talvolta inevitabili, come la sua mag- i
giore quella di Aquileia e par- [
I te voluto, intendendo l'Unno a vince- j
re senza ardue prove, nelle quali ebbe :
sempre la peggio, e senza troppo a- ;
spettare. Atterrire, anziché combatte- :
re, per sottomettere è anche il meto- ;
do dei Tedeschi, il quale era perdonà- ;
bile, e in qualche modo, ragione- j
vole in Attila. Non volendo fondare un
impero, il re degli Unni cercava de- j
naro e provvigioni, e gli bastava do- J
mandarli con gesti paurosi; epperò ne
fece di tali che gli guadagnarono la :
fama ed il nome di "Flagellum dei". 1
Gli Hoenzollern, aspirando a fonda- [
re un impero universale, distruggen
do non hanno le scuse degli Unni, i j
quali non potevano curarsi di conser-1
vare monumenti, che non volevano
conquistare.
Guerriero conquistatore, nel senso
genuino del nome, è Napoleone; il qua-1
le non unneggia nè tedescheggia, ma i
francheggia, rispettando i capolavori
| dell'arte e portandoseli a casa per me
, glio custodirli e ammirarli.
Come ladruncoli domestici, i tede-1
| scili fan man bassa sulle argenterie !
. delle case, nei paesi invasi, e quanto ;
i hii arte, distruggono por ìrivòtràrc dì !
| possedere il genio di Bismarck e far i
LA LIBERA PAROLA
'proprio la vanteria: L'arte?... è
| nulla, ed io ve lo provo riducendola in :
! cenere e frantumi.
"Nihil majus" vedrà il sole nel suo
ì lucido corso della civiltà teutonica: la |
! letteratura, la filosofia, le arti, le ;
j scienze, le industrie, la guerra sono j
i state fabbricate in Germania, il socia- j
I lismo di tutti i paesi è stato model- ì
i lato secondo il socialismo tedesco e fi
] nanco la rivoluzione bolshevica, in una
I certa misura, è "made in Germany".
Gli Unni, non rappresen' ivano ci
viltà veruna nè facevano le vendette
S su Roma conquistatrice, poiché i Ro- :
; mani, non ebbero per un lungo periodo
| d'anni rapporto alcuno con essi o li eb
! bero ausiliari, quindi nemici per breve
j tempo, e da Ultimo alleati per forza
le per amor... di tributo.
In ogni gesto dell'invasore tedesco,
c'è l'asta che memore della cruenta
mano dei Cesari, Germania avventa.
Non avendo superato gli istinti di tri
i bù, i Tedeschi, pur mostrandosi civili j
nella preparazione bellica, sono barba
! ri pure quando colpiscono. "Picchiate j
| sodo" ordinò il cancelliere all'inizio
: della guerra. "Picchiate duro".
Attila non picchiò mai sodo come un
| tedesco perchè fu unno.
Il Byron applicò ai tedeschi l'epite
to di Unni, e il Kipling all'inizio della
! guerra attuale seguì il fratello mag
■ giore nell'appellare la stessa gente.
Ma Attila mi prega di sconfessare i
tedeschi quali unni, perchè unni non
furono mai.
Le orde d'Attila facevanoparte di
j una delle famiglie turaniche, nè aria
! ne nè semitiche, affini ai Turchi, ai
; Magiari, ai Finni e ai Turgusi.
Un Tedesco antico, Jordanes, vesco
i vo gotico del sesto secolo, che descris
; se i lineamenti e i costumi degli Un
! ni, trova l'origine esecrata di costoro
nell'applesso d'una strega gotica con I
i diavoli dell'inferno. Ma anche tale ori- j
; gine ingiuria gli Unni, perchè nella
| mistura c'è l'elemento tedesco e quan
!to ai diavoli dell'inferno via fa
i troppo caldo qui sulla crosta del glo
bo!
Il crimine maggiore imputato ad
Attila è la distruzione di Aquileia.
Questa città, una volta che i barbari |
J avessero valicato le Alpi, era fatale
! che dovesse cadere per non levarsi mai 1
; più. Aveva fatto così bene da avampo
t sto per parecchi secoli contro ai bar
: bari in difesa di Roma, era tanto for
' te da esser inespugnabile e chiamata ;
j la vergine fortezza dell'ltalia Setten
; trionale. Attila sarebbe stato malsicu
| ro nella sua marcia verso il centro d'l
l talia, se avesse lasciato in piedi e al
le sue spalle la città più formidabile.
| Inoltre, l'assedio fu così lungo che il re
j degli Unni aveva deciso di toglierlo
quando dal volo delle cicogne trasse
| auspicio a vincere e tentò l'assalto che
! fece crollare le mura dell'invitta. Gli
| Unni v'entrarono e la distrussero. Fra
| il vigore della resistenza d'Aquileia e
■ la violenza necessaria a fiaccarla, fra
; l'offesa e la difesa, v'è una proporzio
;ne a cui Attila si conformò pur di
! struggendo ed uccidendo.
Era quella l'età del ferro e non già
I del telegrafo senza fili e del sacialismo
j tedesco; e, inoltre, con le città che gli j
| si arresero senza resistenza, quali Mi-
I lano, Vicenza, Verona, Brescia, Berga
j mo, Pavia, Attila si condusse umana
! mente; non facendo strage dei cittadi
ni, nè distruggendo gli edifici: confi-
J scò gli averi di quegli e cercò i tesori
j di questi.
i Ciò che distingue Attila da' suoi col
! leghi di distruzione nella storia non è
| già ciò ch'ei distrusse, ma ciò che non
| volle distruggere deliberatamente.
| Che se il buon padre Dante non si pe
ritò di chiamare "il buon Barbarossa"
quel Federico che seminò il sale sulle
rovine di Milano, io posso ben chia-1
mare Attila, il re buono che la città j
I lombarda non distrusse.
| I Romani distruggevano senza im
! barbarire, allorquando necessità mili- !
j tari o politiche lo consigliavano; ma,!
forse, sulle fiamme divampanti di Car
j tagine lacrime d'una pietà umana e \
| romana, superiore a quelle necessità, ;
1 caddero dagli occhi del console, quan
do gli dei esaudirono la preghiera di
Catone: lacrime che, forse, Attila non j
versò sulle rovine di Aquileia.
Ma la distruzione di Lovagno, città
non militare, posseduta senza resi- j
stenza, centro di cultura, e abitata da !
una popolazione inerme, non trova ri
scontro con le distruzioni unne. E già I
fra i dannati della storia la distruzio- j
ne della città belga annoia Attila più !
che il suo letto d'infamia.
Quella distruzione ha confronti con
il fanatismo mussulmano. Omar fece !
questo ragionamento: O la biblio- i
j teca d'Alessandria contiene libri che :
1 dicono ciò che il Corano dice ovvero
| no; se sì, essa è superflua; se no, essa
è pericolosa. Vada dunque alle fiam
me la biblioteca d'Alessandria.
Sul limitare della biblioteca di Lo
! vagno, gli Hoenzollern ragionarono a
un dipresso come Omar e la differen
! za fra questo e quelli è che quest'ulti- ;
; mo non conosceva i libri della biblio
teca d'Alessandria, gl'imperiali della 1
Kultur avevano letto o conoscevano i
libri della biblioteca di Lovagno, ep- j
; però la distrussero.
Gli Unni distruggevano dal sotto in
su per contemplare le rovine; gl'im
periali dal sopra in sotto per dare al- -
la loro superiore civiltà un piedistallo
degno.
Attila non fu disumano nemico, seb
bene la leggenda, che s'identifica con
la tradizione cattolica, abbia falsato la
'storia facendo del re degli Unni un ne
| mico degli uomini e di dio, così come !
la falsò quando trasformò quel crimi- ;
. naie di Costantino in un angelo di bon
: tà. Egli è che la tradizione cattolica
doveva prestare carattere di miracolo
j ad un fatto storico e inventò Pappa- j
; rizione della croce con "In hoc signo |
ì vinces" e degli apostoli Pietro e Pao- !
I lo minaccianti Attila sul Mincio. Af
] finché le esortazioni o gli ammonimen
ti di Leone primo al re degli Unni si
trasfigurassero nel miracolo dell'appa
rizione degli apostoli, la tradizione in
ventò la leggenda, che non sarebbe
; stata brava se Attila fosse stato un
i buon figliuolo e l'impresa di volgerlo •
j in fuga facile.
Attila non fu disumano nemico.
Egli era disceso in Italia per un'im
presa melo-drammatica da compiervi:
J JERRY BARBAR. Pres. CHAS SANTORE. Treas *
JERRY BARBAR & Co.
SARTORIA DI la. CLASSE
I II più' granile stabilimento in Uniontown per pulire e hlirare abiti |
| UE. "sin St., Exchange H!es! B'dg -59 Msrganfswn S!., Usteiitews, Ps. !
* t ,{
egli era nonostante i concomitanti
terrori della sua calata nel bel pae
se un eroe da Metastasio e che pecca
to che il Prati non ne facesse una bal
lata. Salsi colei che inanellato pria, di
sposando, l'avea con la sua Onorìa
figlia di Galla Placidio, e sorella del
l'imperatore, della corte di Bisanzio
dove sua zia, Pulchcria faceva le ven
dette dell'imperiale maestà offesa, che
non cinse di sufficiente difesa i lombi
della principessina alle prese in Ra
venna, con la volgarità d'un servitore ì
aveva mandato ad Attila in Panno
nia l'anello di sposa, creando il re de- ;
gli Unni suo sposo, suo imperatore e j
6UO cavaliere.
Attila scese in Italia in cerca della 1
sua bella onde liberarla dalla prigio
nia e ottenere dal matrimonio senza
fili la sanzione dell'imperatore Valen
tinano. Il quale aveva torto e mentiva
rifiutandosi e affermando che le donne
non avevano diritti imperiali, proprio
quando Pulcheria imperava e teneva :
prigioniera Onoria in Bisanzio. t
O mio buon Attila, io faccio le tue
vendette. Arrendendoti a Lupus, vesco
vo di Troyes, tu rispettasti la città in
cui egli era il pastore; arrendendoti
alla carità patria e alla fede di Leone
primo, rispettasti Roma. Calcati bene
la tua corona sul capo. Dio non te
l'ha data
Per abbracciar con gli occhi le va
ghe sembianze di Venezia, Gabriele
d'Annunzio se ne parti dal campo tut
to solo e muto, compreso del senso re
ligioso di chi s'awii ad un estremo
convegno d'amore, quando la calata
dei barbari nella città della laguna si
temeva imminente. Il poeta era per
suaso che nè invocazioni d'artisti, nè
pianto di cittadini, nè scomuniche di
papa, le quali diciamolo sottovoce
che nessun ci oda non sarebbero
venute, avrebbero trovato la via del
cuore dei barbari imperatori, caracol
lanti l'uno sul dorso dell'apostolo Pie
tro, l'uno su quello dell'apostolo Pao
lo.
Confidami, Attila, confidami le pa
role paurose o divine che Leone primo
ti disse presso la tua tenda sul Min
cio. Io sento un gran bisogno d'inse
gnarle a Benedetto XV affinchè le ri
peta a Guglielmo e a Carlo, impera
tori.
Di là dal Piave, c'è un più grande e
vero flagello degli uomini e di dio,
santo padre. Voi non lo credete? -E
provatelo, dunque, il Tedesco.
E' ben vero che voi avete chiavi,
che, disgraziatamente aprono soltan
to le porte del paradiso. "JCt tibi dabo
claves regni coelorum". Ma, ne l'apo
stolo Pietro ha chiave non buone, l'a
postolo Paolo ha la spada aguzza a
a due tagli.
Che se nè la speranza del paradiso
nè la paura dell'inferno avessero pos
sanza di volgere in fuga il "flagello
hominum et deorum", varcate il Pia
ve e la Marna e scontrateli.
* * *
Che più indugiate, santo padre? Te
mete forse che il miracolo dell'appari
zione dei santi Pietro e Paolo si rin
novi o che non s'abbia a rinnovare?
Se temeste dei primo caso del di
lemma, voi non avete la fede di Leo
ne primo; se del secondo io v'assi
curo, santo padre, che il miracolo si
rinnoverà. Chè la leggenda non è al
tro che la elaborazione commossa del
le genti d'un fatto storicamente vero
e magnanimo.
C'è il treno, santo padre, c'è la di
ligenza aerea, che accogliendovi sulla
cupola di San Pietro, senza scon
quassamento d'ossa, senza violare la
pudibonda virtù d'un tre volte santo
ermafroditismo, senza rotture cioè di
neutralità, vi calerà sano e salvo pres
so la tenda degli imperatori, colà don
de minacciano l'ltalia e Roma, tutto
il mondo e i paesi circonvicini.
Attila è in via verso Roma. Leone
primo va ad incontrarlo, e quegli s'ar- !
rende alla carità di patria e alla fede \
del pontefice e del cittadino romano. !
Questo è il maraviglioso della storia, j
L'affresco di Raffaello raffigurante I
l'apparizione degli apostoli minaccian
ti, ferma il maraviglioso della leggen- !
da, ch'è sempre miracolo di qualche |
santo. Varcate il Piave, santo padre, j
che il miracolo si rinnoverà. Che se il !
cuore del tedesco si mostrasse più fer- !
mo di quel dell'Unno, il maraviglioso |
della storia, il vostro scontro con quel-1
10, si trasformerà nel meraviglioso I
della leggenda, nel miracolo, ch'io i
anticipo;
Vi fu nel vigesimo secolo un ne
mico degli uomini e di dio che gli apo
stoli Pietro, Paolo e Benedetto non
riuscirono a sbigottire nè a volgere in
fuga; gli apostoli Pietro e Paolo se la
scamparono volando un po' più eu de
gli aeroplani nemici e l'apostolo Be
nedetto fu condannato "ad bestias", e
i soldati tedeschi se lo divorarono.
* * »
Io vedo da una finestra delle Logge i
di Raffaello un bianco capo accennar- !
mi e in un viale dei giardini vaticani
Giulio secondo strigliare una puledra :
bianca.
In sella, santo padre?
Viva dio! si vede un po' di fede, i
finalmente. Con tale atto di fede e di j
coraggio c'è da guadagnarvi la con
versione dei Mussulmani, almeno di '
quelli accampati nella cattedrale d'U- j
dine.
Avanti! E' scritto: Super aspidem !
et basiliscum —è un po' caparbia -
la puledra Conculcabis leonem
et dfaconem."
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