La libera parola. (Philadelphia, Pa.) 1918-1969, April 27, 1918, Image 4

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    Appendice de "La Libera Parola" Numero 2.
FRANCESCO MASTRIANI
LA' CIECA DI SORRENTO
ROMANZO
E via via, dicendo altre simili
sguaiate leziosaggini, andavano
disciogliendosi in diversi gruppi,
e la sala sarebbe rimasta presto
vuota, se una voce sonora e pro
fonda non si fosse fatta udire in
mezzo a loro, cagionando genera
le sorpresa.
Signori, diceva quella vo
ce rimanete: supplirò io al
professore ; il morbo ond'è morta
questa donna, è stato da me at
tentamente seguito in tutte le
sue fasi : io ne ho già fatto la dia
gnosi e la prognosi, ed ho comu
nicato le mie osservazioni al mae
stro, il quale le ha trovate giuste.
Non intendo di levarmi a catte
dratico, ma solo esporiv, a' lumi
ed alla intelligenza dei miei com
pagni il frutto di due mesi di cli
nica, seguita pazientemente su
questa infelice che ora giace sul
la_tavola anatomica.
Gli studenti si guardarono fra
loro, ed all'ironico motteggio che
poc'anzi contorceva le loro sem
bianze, subentrò una specie di
stupore; poiché fino a quel mo
mento avevano tenuto Gaetano
in conto di stupido. Era la prima
volta che udivano la sua voce,
perchè egli non aveva mai parla
to con alcuno dei suoi compagni,
nè interrogato il professore, il
quale non l'aveva mai chiamato
alle conferenze, considerandolo
povero d'ingegno.
Parli pure il signor Gaeta
no. gridò una voce.
E tutti in coro gridarono:
AI cadavere ! al cadavere !
Gaetano sedette sulla sedia o<
professore, presso al marmo ana
tomico. Il suo volto era estrema
mente pallido.
Signori, cominciò con vo
ce in cui vibrava un leggiero tre
mito— questa donna che mi gia
ce dinanzi, questa donna su cui
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debbo passare il coltello anatomi
co questa donna è mia sorel
la!!
Un movimento ed un mormo
rio d'orrore fecero tremare i ban
chi degli studenti.
La fisonomia di Gaetano rima
se impassibile. Soltanto i suoi oc
chi erano divenuti più mobili e
più guerci.
Sì, mia sorella, soggiun
se l'infelice mia sorella Cate
rina, che aveva una malattia di
languore e che io fui costretto
di mandare in questo spedale per
mancanza di mezzi onde provve
dere alla sua guarigione. 1 trova
ti dell'arte medica riuscirono su
lei infruttuosi; lunghi giorni e
più lunghe notti ancora ho ve
gliato al suo capezzale, spiando
ogni movimento del morbo, ed
esplorando ogni battito di quei
cuore tenero e amoroso Inuti
li cure, impotenza dell'uomo! Io
l'ho veduta consumarsi lenta
mente, sfibrarsi giorno per gior
no senza mandare un lamento, e
baciare col pensiero l'inesorabile
mano che le torceva i polmoni.
Povera sorella, morta a diciotto
anni ! Ella era, o signori, l'unico
mio conforto, e quello delia vec
chia nonna. Qual fiume d'amore
raccoglievasi in quel cuore! Oh,
come la natura si compiace a di
struggere le sue opere più belle!
Morta! morta! Una povera ti
sica, gettata lì su quel marmo,
ludibrio della vostra spensierata
giovialità, ionie io pure lo ero te
sté : un eforme ed un cadave
re! Ridiamo, ridiamo! tanto
più se sono due figli della sven
tura e della miseria! Oh, vi sono
alcune disgraziate famiglie get
tate in mezzo alle generazioni
come un branco di uccelli in mez
zo a fornace rovente; scottarsi
dappertutto, e infine morir soffo-
cati: ecco il loro destino!
Un ghigno passò sulle brutte
labbra di Gaetano, contratte da
selvaggia ironia.
Quei giovani tacevano, lo guar
davano, presi da un senso arcano
di stupore e di spavento.
Ed io farò l'autopsia pato
logica di questo cadavere, o si
gnori ; io v'indicherò anticipata
mente la sede del suo morbo; vi
dirò quanti tubercoli si sono l'or
mati sul suo parenchima polmo
nare ; vi spiegherò la formazione,
l'andamento e il progresso di
questi tubercoli Non temete:
il mio braccio non vacillerà nel-
Paprire il seno di mia sorella; io
non ho sensibilità di sorta.
Guardate il mio volto, e dite se
non ho fatto bene ad abbruttire
il mio cuore! Oh, se un cuore
troppo sensibile ha ucciso questa
infelice, non ucciderà me certa
mente!
E qui Gaetano cominciò a nar
rare filo per filo, dai primi sinto
mi fino alla triste catastrofe,
l'andamento del feroce morbo di
cui la sua sorella era stata vitti
ma ; espose i suoi principi su quel
morbo creduto incurabile, narrò
la storia medica della tisi di tutti
i tempi e di tutte le nazioni, cor
redandola con mille citazioni di
rispettabili testi ; fece un qua
dro minuto del sistema di deva
stazione che si opera negli organi
respiratorii del paziente di tisi; e
fu tale la sua eloquenza, tali fu
rono le cose dotte che disse, che
l'uditorio attonito ruppe in cla
morosi applausi al termine del
suo discorso.
E quando, accostatosi al mar
mo, brandiva il coltello per schiu
dere il seno del cadavere, ne fu
impedito dai suoi compagni, che,
allontanandolo da quel luogo, lo
accompagnarono poi tutti alla
sua dimora, salutandolo con altri
applausi e affermandogli la loro
ammirazione e il loro rispetto.
111.
IL COMMESSO DI NOTARO
Da quel giorno in poi si operò
una completa trasformazione nei
sentimenti e nella condotta degli
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LA LIBERA PAROLA
studenti rispetto a Gaetano. La
sua presenza nella classe mette
va subitamente il silenzio e il
raccoglimento più che il cipiglio
medesimo del professore; le pa
role di lui erano attentamente a
scoltate, riconoscendo in esse un
fondo di dotte investigazioni e di
arguta analisi; inoltre, nei suoi
detti cinici e incisivi, era sempre
qualche cosa che toccava profon
damente le fibre del cuore, e che
faceva vibrare certe ascose cor
de nei penetrali dell'anima. Ra
ramente ei rivolgeva la parola a
qifalcuno, e raramente il sorriso
gli balenava sulle labbra, se non
era il ghigno dello sprezzo.
L'anno scolastico era vòlto al
suo termine; la stagione estiva
faceva chiudere le sale anatomi
che, ed i giovani studenti cala
bresi, pugliesi e di altre Provincie
andavano a visitare le loro fami
glie. oppure rimanevano in Na
poli a divertirsi e a spendere in
sollazzi il danaio che lor veniva
dalle industrie dei loro onesti ge
nitori.
Gaetano non aveva nè padre,
nè madre, nè parente alcuno che
gli mandasse, dal fondo della sua
provincia, non diremo di bei quat
trini perchè egli pure si divertis
se, ma neppure quel tanto che è
necessario per supplire ai più
stretti bisogni della vita.
Orfano da molti anni, il disgra
ziato giovane, dopo la morte del
padre, aveva lasciato la sua terra
nativa in giovanissima età, in
compagnia della sorella, fanciul
lina di sei anni appena, e della;
vecchia nonna, zeppa d'infermi
tà. Pochi ducati, frutto della ven
dita di vecchie suppellettili re
stategli della casa paterna, ac
compagnarono i tre calabresi fino
a Napoli, scemando a mano a ma
no che il loro viaggio progrediva,
e rimanendo alla cifra di pochi
carlini allorché giunsero in que
sta città. Gran tratto del viaggio
era stato fatto a piedi.
Qual era lo scopo del giovinet
to Gaetano nell'abbandonate il
suo villaggio nativo per trasfe
rirsi a Napoli? Niente altro che:
lo studio della medicina, al quale j
ei sembrava trascinato da una
forza indicibile. La sua situazio
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ne era molto difficile. All'età di
quindici anni, con una vecchia ed
una fanciulla sulle spalle, senza
conoscere anima vivente in Na
poli, egli si trovava nella necessi
tà di dover tra poco tempo prov
vedere alla sua sussistenza, e a
quella delle due compagne che la
natura gli aveva date. Oltre a ciò,
doveva comprar libri, pagar mae
stri ed attendere allo studio. Co
me fare? Per colmo di sventura
egli aveva un aspetto che a pri
ma vista ispirava ripugnanza e
avversione.
E' vero che, nel suo pae>e, il
tapi nello si era trovato nella me
desima condizione di provvedere,
ancor fanciullo, alla vita giorna
liera della sua famiglinola; poi
ché suo padre, due anni pi ima di
morire, aveva abbandonata la fa
miglia, ed era andato a Napoli,
dove appunto morì.
Non è questo il momento di di
re quali circostanze accompa
gnarono la morte di lui, e quale
fu il motivo per cui abbandonò i
suoi. Nel corso di questo raccon
to avremo occasione di tornare
parecchie volte su tali avveni
menti.
Che cosa fece Gaetano, venen
do in Napoli, per avere mezzi da
vivere e da studiare? Egli si pre
sentò, dopo alquanti giorni, ad
un vecchio notaro che aveva lo
studio poco discosto dall'abitazio
ne di lui, sul canto di una stra
della appartata della vecchia
Giudeca. Questo notaro in gio
ventù non aveva goduto un'otti
ma fama, ed ora, nell'esercizio
della sua professione, non anda
va immune di alcune tacce di cui
non pensò mai a scolparsi, e che
presso il volgo, sempre facile a
suggere il fiele delle cattive lin
gue, avevano preso un carattere
di verità.
Quell'uomo, chiamato Tomma
so Basileo, di aspetto ignobile e
feroce, spingeva la sordida pas
sione dell'avarizia fino all'ecces
so, vivendo come il più misero e
breo, ed ammazzandosi di fatica
per non dare ad alti-i una benché
scarsa parte dei suoi lucri.
Ognun vede che l'infelice Gae
tano non poteva imbattersi In
peggior creatura; ed infatti, al
le prime off» di servizio, gii
fu risposto lilialmente non es
servi uopo dl jltre braccia. Ma
finalmente fi] ammesso come
scrivano nel 1< stesso studio no
tarile, contenWdosi egli del ric
co salario di ut carlino al giorno.
Gaetano dovevi trovarsi allo stu
dio alle otto dei mattino per usci
re alle undici; poscia alle due do
po il mezzogioito per uscirne alle
otto. Nove ore al giorno d'inde
fesso lavoro per un carlino!
Sarebbe stato impossibile il vi
ver tre persoli! con quel misero
salario, se Caterina, la sorella di
Gaetano, non atesse dai canto
suo concorso al ? spese giornalie
re mercè l'open da lei piestata
in casa di una sarta in via San
Giovanni a Cavionara.' Gracile e
diafano, il corpodi quella disgra
ziata giovinetta pareva ad ogni
istante volersi disfare e allargar
la sua trama per sprigionare u
n'anima candida» pura. Un lavo
ro assiduo, fatisso, congiunto
alle più amare privazioni ed agli
stenti di una viti infelice, dove
vano presto gettare nel seno del
, la sventurata il germe di quel fu
nesto male che latrasse alla tom
ba nel breve giro è diciotto anni,
quando lo stame cella esistenza
sembra per Pappato più vigoro
samente tessuto epiù difficile a
rompersi.
La infermità dela sorella fu
un orrendo colpo pi povero Gae
tano, poiché non poteva avere
neanche il sollievo S tenersela in
casa e curarla coi JÌÙ efficaci
mezzi dell'arte, od ameno alleg
gerirle il male con tuta la sua te
nerezza fraterna, chi è pin - e un
balsamo pei softemi. Più or
rendo colpo ancora t'ala, morte di
lei. Tanta perdita, «palliandogli !
il cuore pel dolore, atcresceva al- j
tresì la sua miseria,privandolo :
dell'aiuto che Cateiik arrecava
alla famiglia.
Da molti anni la viti di Gaeta
no scorreva tra gli sudi arden
tissimi della sua professione e le
durissime fatiche a ni lo assog
tava il ordido notaroDallo stu
dio notarile allo spedi.?, da que- !
sto allo studio, e quirii la sera, I
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t VINCEVO DITUNNO I
1 Con la farr| 3 a Poths Beer I
t Non dimSkate l'intirizzo: ri
ra questo il vivere di Gaetano
interrotto solamente da poche 0 '
re di sonno, e sostenuto da scar
so e malsano nutrimento.
Tommaso Basileo, il notaio, e
ra una di quelle tante varietà d !
uomo tigre, di cui abbonda scia
guratamente la razza umana
Questa specie maledetta prende
ogni giorno maggiore sviluppo i n
mezzo alla pretesa civiltà dei
tempi. Quel notaio eia un cui io.
so impasto di diversi animali,
tanto nel fisico quanto nel moi a-'
le, ma supremazia sugli altri i
stinti aveva quello del tigre. E'
impossibile d'immaginare un uo
mo più perfidamente vile, più viuj
niente brutale, più brutalmente eI
bestialmente sordido. Nè si creda!
che esageriamo a piacere 1111 per,|
sonaggio creato dalla nostra fan.l
tasia; poiché nella storia natura.!
le dell' uomo, come dicemmo t» I
stè, un tal tipo è ovvio e fl'eque™
te, specialmente nelle città pojio.l
lose.
Si può facilmente immaginare!
che sorta di vita passasse il gio.l
vane calabrese nella soggezione!
di quest'uomo, e come amara.!
mente ad ogni boccone che in-l
ghiotti va dovesse ricordare "co-I
me sa di sai lo pane altrui." Noni
diremo dunque, per rispetto al-l
l'alta origine umana, dei maltratJ
tamenti patiti dal povero scriva-l
nello ogni qual volta trascorreva!
l'ora consueta in cui si doveva!
trovare al suo posto; getteremo!
un velo sulle turpi nefandezze di j
quel servo del denaro. Altre cose!
più importanti al nostro racconto I
chiamiamo altrove la nostra at-J
tenzione. benché del pari tristi e*
miserevoli.
(Continua)
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