La rassegna. (Philadelphia, Pa.) 1917-????, May 19, 1917, Image 1

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    Both Phones
hNNO I. No. 7
rerche' ognuno lo sappia
e lo comprenda
Intraprendendo la pubblicazio
ie di questo modestissimo foglio,
vernino a scrivere sole poche ri
he di programma ; poche righe
ioè che, nella loro brevità, com
lendiavano sinteticamente tutto
in passato di vita giornalistica
iei rapporti della persona cui ne
cniva indovinatamente affidata
a direzione; passato che molti
onoscono in mezzo alle nostre
olonie, attraverso tante lotte,
ttraverso tanta buona opera
pesa nell'interesse delle nostre
nasse immigrate.
Altri avrebbero sentito il biso
gno di scrivere un lungo pro
;ramma, dicente e promettente
ante belle e grandi cose; noi in
ece vi sapemmo prescindere de
isamente, sicuri come eravamo
he il nome stimatissimo ed il
lassato indiscutibilmente valoro
o nel campo giornalistico della
lersona scelta alla direzione di
[uesto foglio potevano ben dire e
ompendiare, in una sola parola,
in grande programma, dalle in
enzioni sempre pronte ed ardite,
lai fine lecito, dall'indagine acu
a
Sono appena pochi numeri che
ibbiamo messo fuori e, vuoi dal
ato deìla cempilfwiottr., vuoi dal
[Uello degli scottanti argomenti
iresi coraggiosamente a trat
are, il pubblico buono, quello
:ioè che è solito giudicare senza
>assione, ha già detta la sua
rnrola a nostro riguardo,
itanno, peraltro, a dirlo elo
luentemente tante e tante co
le, non ultime le molte e lu
iinghieri dimostrazioni di simpa
ia e le espressioni della più sin
cera congratulazione che ricevia
no quotidianamente sia a voce
:he per iscritto, non solo da gen
e che risiede in città, ma anche
lalla parte di quella risiedente in
litri centri coloniali.
Noi avemmo sempre il giusto,,
'esatto concetto del diritto e del
a libertà di stampa; di questo
liritto ne usammo ene usiamo
uttora nella giusta, nella dovuta
nisura, senza mai esorbitare per
chè trascinativi da una passione
:ieca qualsiasi, da odio personale
» volontà incline a servire su
inamente la causa privata di
chicchessia. Dove non vediamo
>ropizia l'occasione di poter par
are, quando la quistione non ci
lembra giusta, sia dal lato della
«oralità che da quello dell'inte
resse pubblico, noi non interve
ìiamo. Laddove però ci decidia
mo a trattare un soggetto, a ban
iire una crociata, lo facciamo
nella piena buona fede anzitutto,
poi nella sicurezza massima di a
vere delle buone ragioni a soste-
Po della nostra tesi, oltre il fi
ne di veramente giovare alla no
stra comunità che va principal
mente ad informare la nostra a
zione, qualunque essa potesse es
sere nei rapporti tra pubblico e
giornale.
Nessuno più della persona pre-
Posta alla direzione di questo
Ifiornale può vantare in Colonia
di avere sempre, sia dalle colon
ne de "Il Pungolo Coloniale" pri
ma, de "Il Pungolo" dopo, de "Il
e dell'"Opinione del
Popolo" fino a tempo fa, di avere
m traprese campagne utilissi
me nell'esclusivo interesse della
* ITAL IA N WEEKLY NEWSPAPER **
I >evoteci to welfare and advancement of the Italiana in America
S. LIBERATORE, Direttore
Colonia. Due Consoli il Cav.
Maiori ed il conte De Constantin
polemizzarono a lungo con lui,
scrivendo e replicando onore
questo mai dato a nessun giorna
le delle nostre colonie,
intorno a certe quistioni riflet
tenti l'autenticazione della firma
negli atti notarili e l'ufficio lega
le. Le polemiche si svolsero sulle
colonne de "L'Opinione del Po
polo", con tutta correttezza di
linguaggio, con fine argomenta
zione e, quello che più monta, con
palese interesse ed intenzione
da entrambe le parti a
giovare il pubblico interesse.
Tanto il Cav. Maiori, che il conte
De Constantin ebbero a lodare,
| fino a congratularsi particolar
mente con lui, la condotta pole
mica del nostro direttore il qua
le, peraltro, seppe alla fine, nel
la dovuta misura, avere ragione
circa lo scopo obiettivo della po
lemica.
Tutto questo non avremmo vo
luto ricordare a nostro vanto,
siamo modesti noi, lo si sappia,
tutto questo non avremmo
mai notato su queste colonne, o
ve certe speciali condizioni di li
na grande polemenica ingaggia
tasi, norV"ri*,aL'Msert) \iSeire"tial
riserbo più stretto che ci erava
mo imposto dando vita a questo
giornale.
Quando si ha la disgrazia di
trovarsi di fronte ad avversari
semplicemente disonesti, che sa
rebbero capaci di tutto pure di
"salire sublimi" o mantenersi be
ne su vergognosa arcione, certe
note note e certi ricordi sono ne
cessari, s'impongono addirittura,
sarebbe un peccato grave non
farli. Onde, seguitando, dobbia
mo far notare che il direttore de
"La Rassegna", Silvio Liberato
re, quegli cioè che altri sogliono,
solo per riempitivo pole
mico, chiamare lo studen
,tello della terza classe elementa
re, in quindici e più anni di stre
nue e feconde lotte giornalisti
che, seppe dire sempre tanto be
ne certe verità, a volta in modo
rude, tal fiata violento ; mai però
da meritare una querela di libello
Tutto questo sta e starà sempre
a dimostrare della obiettività po
sitiva, disinteressata e corretta
all'istesso tempo nei rapporti di
Silvio Liberatore.
Seguitino, adunque, i suoi ne
mici ad abbaiargli rabbiosamen
toe alle calcagna; gli si dica sem
pre quello che non è, che non è
mai esistito; sarà questa la so
la via per renderlo più caro, più
apprezzato in mezzo alle nostre
masse che egli ha sempre cercato
di giovare per quanto le sue for
ze lo abbiano permesso. Egli è
giornalista lottatore, corretto ed
indipendente. Quando asserisce
dimostra ; quando discute è uso
rimanere in quei termini di cor
rettezza che i suoi avversari non
hanno mai saputo avere. Silvio
Liberatore non studiò mai il vo
cabolario del turpiloquio, arma
sempre pronta ad imbrandirsi da
quelli che si sentono impotenti
per la giusta disquisizione, da
quelli che, giudicando sempre gli
altri alla stregua delle loro colpe
e delle loro magagne, non sanno e
non possono entrare in azione se
non con l'arma del mascalzone
bollato cento volte, cento volte ri-
PHILADELPHIA, PA., SABATO. 19 MAGGIO 1917
pudiato e scacciato dal campo dei
buoni, degli onesti, dei gentiluo
mini insomma.
Tutto questo siamo noi de "La
Rassegna", quest'è la figura mo
rale di uomo e di giornalista del
nostro direttore, disonesti a tut
ta prova sono i nostri avversari.
E quando abbiamo detto disone
sti crediamo di aver detto tutto.
Curiangiolo
Riceviamo e pubblichiamo
Egregio Sig. Direttore
della "Rassegna"
Philadelphia, Pa.
La prego concedere ospitalità
nelle colonne del suo giornale, al
seguente deliberato del Concilio
Esecutivo Supremo:
Ringraziandola sentitamente
ed anticipatamente,
Dev.mo
F. Mancini, Supr. Segr. Ar.
Il Concilio Esecutivo Supremo
dell'Ordine Figli d'ltalia in Ame
rica, nella seduta odierna, infor
mato di una pubblicazione appar
sa su di un settimanale di Phila
delphia, contro il Grande Venera
bile dello Stato della Pennsylva
nia, fratello Giuseppe Di Silve
stro, sente il dovere di conferma
re pubblicamente a questi tutta
ia sua stima e fiducia, incorag
giandolo solo a sempre più perse
verare nella cotanto apprezzata
I opera'di bene'a prò della nostra
Istituzione.
Per il Supremo Concilio
Il Seg. Arch. Supr.
Francesco Mancini
Altri non darebbe, non avreb
be mai data ospitalità ad una co
municazione di tal genere. "Noi
siamo noi, onesti indipendenti
per quanto potesse riflettere l'or
dine"; noi siamo sempre noi per
quanto potesse dire di agone
giornalistico.
Gli On. del Supremo Concilio
Ordine Figli d'ltalia cui abbiamo
diretta una lettera-accusa contro
il grande venerabile Giuseppe
Di Silvestro, hanno creduto di
scusare, assolvere pria che l'ac
cusato si fosse difeso nei rappor
ti dell'accusa istessa. Hanno vo
luto cioè dimostrare di agire per
prevenzione, senza riflettere be
ne che—come dissero i giuristi di
ogni tempo—"la prevenzione è il
magior nemico della giustizia."
Perchè non aspettare che il
sig. Giuseppe Di Silvestro avesse
presentate le sue discolpe per
giudicarlo? Si è dato subito a ve
dere, invece, che incondizionata
mente, morosamente, altri
direbbero disonestamente, ma
noi non vogliamo dirlo ad alcun
costo, si abbia avuto a difen
dere con antecipato interesse una
causa che andava e meritava in
vece di essere ponderata a passi
da pedanti, con tutta prudenza,
oculatamente, ove per davvero si
avesse avuto intenzione di parla
re nell'interesse della grande i
stituzione dell'Ordine Figli d'lta
lia".
Che cosa potranno domani, un
giorno qualsiasi rispondere gli
on. del Supremo Concilio Figli
d'ltalia in merito all'obietto della
quistione che abbiamo voluto,
anzi che la necessità che ha
voluto avessimo preso a trattare
discutere, lo vedremo solo quan
do sarà il caso di vederlo, ripro
mettendoci di essere sempre o
biettivi e sereni nelle nostre con
clusioni.
Ora, come ora, non possiamo
che cortesemente ospitare il co
municato del "Supremo Concilio
0. F. d'l." e deplorare con tutta
la suscettibilità dell'animo no
stro la leggerezza con cui s'è volu
to troppo affrettatamente dare
un giudizio che andava, con mi
gliori e precisi criteri, rimanda
to ad altro tempo.
Ritorneremo, sapremo ritorna
re sull'argomento al prossimo
Giuseppe Di Silvestro
non e' soltanto ladro e truffatore volga
re ma anche spergiuro e falsario
Fu sempre nostra abitudine in giornalismo
quella di lare sempre aceuse positive, basate sulla
verità dei latti e sulla inoppugnabilità di docu
menti autentici ed irrefragabili.
Dichiariamo ancora una volta che rifuggimmo
sempre e rifuggiamo tuttora dall'accusa vaga, po
co o niente documentabile, dall'asserzione gratui
ta lucente sempre di chi ha l'animo versato alla
(luiamazione ed alla calunnia.
Ecco intanto il nuovo fatto cui vogliamo rife
rirci:
Sotto la data del 18 Marzo 1901, presso un
giudice della torte di Camden, N. J., il sig. Giu
seppe l>i Silvestro lece richiesta della cosidetta
carta ni cittadinanza. Per conseguire lo scopo, in
coni ormila delle leggi che a quell'epoca vigevano
nello Slato del Jersey, egli, assistito <jla un ta
le e/ie risponde al vome di Antonio Mecca, dichia
rò, giurando, di risiedere al 30(i Kainsgh Av., della
stessa città di ( amdcn e di avere immigrato negli
Stati Uniti quando era MINORENNE. Si noti che
la condizione della residenza in una città del New
Jersey e l'altra dell'avere immigrato in minore e
tà erano essenti al mente richieste perchè l'acquisi
zione del diritto alla cittadinanza potesse conse
guirsi.
In conseguenza di tale attestazione il signor
Giuseppe Di Silvestro divenne cittadino degli Sta
li Uniti e poscia, in virtù di tale requisito, egli si fe
ce anche autorizzare notaio per la contea e città
di Philadelphia, ufficio questo che esercitò per di
versi anni. Sta in fatto però che il 18 marzo 1901 il
signor Di Silvestro non risiedeva in Camden, es
sendo egli stato sempre a Philadelphia; come pu
re non v'ha chi possa efficacemente contestarci
che egli fosse venuto in America prima che, nel 18 J
Reggimento Artiglieria di stanza ad Aquila aves
se INDOMITAMENTE servito il Re e la Patria;
cioè a dire, venne egli in America quando contava
dai ventiquattro ai venticinque anni di età.
Sta pure in fatto che la "United States Fe
derai Court" di Trenton, N. J., scoperta LA FAL
SITÀ' nell'attestazione del l i Silvestro, con sen
tenza (i Maggio 1910 lo dichiarò SPERGIURO e
decretò l'annullamento della sua carta di cittadi
nanza.
Che dire più di fronte a tanta eloquenza di
fatti? Ogni comento lo riteniamo assolutamente
fuori luogo, giacché partiamo dal principio che i
nostri lettori, intelligenti abbastanza, potrebbero
farcene grave torto.
Ci troviamo, adunque, di fronte ad uno sper
giuro e ad un falsario che non sappiamo perchè
s'ebbe dalla Corte franca la galera. Potrebbe sem
pre esservi mandato perchè certi delitti che invol
vono le leggi federali sono imprescrittibili. Sper
giuro e falsario da un lato, truffatore ed appro
priatore indebito dall'altro.
Il nome di Giuseppe Di Silvestro disonorato a
base di fatti e non di chiacchiere, ci incomincerà,
da oggi, a fare maggiore ribrezzo di quello che
non ci fece pel passato. Questo nome parola no
stra di giornalisti abituati a sentire dignitosamen
te tutto il peso di una grande missione non fi
gurerà più sulle colonne del nostro giornale giac
ché non merita di essere ulteriormente ono
rato di discussione. Lo abbia sempre caro chi
numero; sieno accorti nel frat
tempo gli on. del Supremo Conci
lio a non votare altri voti di "fi
ducia, di stima e incoraggiamen
to" al sig. Giuseppe Di Silvestro.
La pasticca, anche se presa con
gusto, avidità ed interesse po
trebbe fermarsi a metà gola e
soffocare quindi, irrimediabil
mente soffocare.
La Rassegna
vuole; 1 incornici chi lo desideri "ad perpetua rei
memorie"; per noi suonerà sempre nausea e ri
brezzo; passerà esso alla storia delle nostre colo
nie, dora innanzi, come u nnumero, così potrebbe
dirsi di un recluso o di un ergastolano qualsiasi.
La RASSEGNA
PER NORMA E REGOLA
del Supremo Concilio Ord. Figli d'ltalia
Ricattatore di mestiere
(Dall' "Opinione" di Phila., del 10 Febbraio 1910)
"Mamma, e passato un calde
raio, emi ila detto: i< accia un
ia! .
' òuccede sempre così, tiglia
una: la mala, ìenuniiia ciuama
sempre uisonesle tulle le donne
uei vicinato."
quella inanima aveva ragione:
cosi la anche i'eppuccio, la mala
lemmina della colonia ui Pmla
ueipina, cne prenue a manale lo
proprie vergogne e tenia sempre
scaraventane £>ui viso (iella gen
ie onesta.
uopo aver esercitato in Ameri
ca lasciamo andare le gesta
gloriose da lui commesse in Ita
na i mestieri più vili, come
quello di andar vendendo la birra
su di un carretto per sbarcale il
lunario, ricorse Finalmente alla
professione del Figaro: ma il ra
soio e il pennello, o gli pesavano
0 non riuscì mai a saperli maneg
giare. Allora I'eppuccio pensò
cne la penna in America, t'osse
un mestiere più tacile a maneg
giare che non il pennello, e, detto
latto s'improvvisò giornalista.
incominciò questa nuova e ma
laugurata carriera con un lurido
foglietto che sembrava la pelle
di un rospo, la quale, a quanto si
dice, sprizza veleno da tutti i po
ri. 11 Dottor Tale era un ciarla
tano, perchè negava l'avviso al
Fra Picozzo; il banchiere Sem
pronio era uno sfruttatore e la
dro, per la medesima ragione; e
perfino il povero operaio, non a
veva netta la fedina penale, era
tradito dalla moglie, e chi sa
quanto altro ben di Dio, sol per
chè aveva rifiutato l'abbonamen
to al Fra Picozzo.
Con siffatti metodi però Pep
puccio ben presto si accorse che
si riusciva a sbarcare molto me
glio il lunario, che non con le for
bici, rasoio e pennello. La barac
ca difatti gli andò avanti a gon
fie vele: il foglio lurido assunse
una veste più pomposa e cambiò
nome, come per far dimenticare il
prio passato: ma se "Fra Picoz
zo" aveva cambiato il pelo con
servava però lo stesso vizio. E il
nuovo organetto ricominciò la
vecchia sonata. Un onestissimo
banchiere venne, fra altri, preso
di mira con gli stessi propositi
con cui i grassatori si appiatta
vano un tempo, dietro le roccie e
1 cespugli nella valle di Bovino.
Posteriormente Peppuccio si è
amaramente pentito di questa
sua tentata grassazione ed ha
messo in opera tutte le sue arti,
i per rientrare nelle grazie di quel
! banchiere che egli aveva tentato
invano di accoltellare alle spalle.
Quel banchiere pero' è stato uno
'lei pochissimi che abbiano sapu
! to tenere a bada la mala femmi
na. Difatti ricordiamo che, allor
quando nel 1908, dopo il disastro
so terremoto di Messina, Peppuc
-1 coi si fece qui promotore di un co
5 soldi la copia
UFFICIO: 920 So. lOth Street
siuuetto comitato Coloniale per
i accogliere uei tonai, penso cne,
per riconquistare le grazie ui
quei oaiicuiere, conveniva incen
sano noniinanaoio, quantunque
assente, collie Aito rresiuente Ui
uetto comitato Coloniale.
i-»i nomina iu latta uai Gomi
talo i J eppucciano ed un appor
ta ueiegazione, ira cui v'era ali
ene i esercente ili una bisca, si
reco ua quel panettiere a notui
cargli l'altissima nomma.
yuei banchiere pero, ii quale
non aveva la memoria cosi labi
le come taluni altri, riiiuto' il
non ambito onore, dando cosi a
l'eppuccio un memorabile schiai
-10 mol ale.
tornando a bomba, rendia
mo come in qucll epoca, essendo
sorta l'Opinione, i'eppuccio si vi
de perduto: e allora penso' di cer
care degli alleati, e fuse il suo lu
rido loglio con un altro settima
nale, accettando perfino di passa
re in sott'ordine. Nella nuova
combinazione, il povero Peppuc
cio si accorse ben presto che i
suoi affari non andavano così be
ne come una volta, ed allora non
potendo far altro, si limito' a
commettere, nella qualità di col
lettore di quel giornale, alcune
appropriazioni indebite per le
quali, quantunque anche lui un
forte azionista, venne ragionevol
mente messo alla porta dal diret
tore del giornale. Posteriormente
pero' l'astuto Peppuccio, appena
uscito dalle carceri dopo di avere
scontata una piccola condanna
per libello, seppe talmente briga
re presso gli altri azionisti, che
riuscì a farsi riammettere nell'a
zienda di quel giornale, a patto
che avesse rimborsate le appro
priazioni da lui commesse, cosa
che facilmente egli eseguì col ri
cavato della colletta fatta dai
suoi compari durante la di lui re
clusione.
Il Direttore però che, essendo
un galantuomo ed avendo quindi
a schifo il semplice contatto con
un rettile di quella specie, per
non più contrariare il volere de
gli altri azionisti, preferì di ces
sare di far parte di quell'azienda
e lasciare il campo libero a Pep
pùccio. Costui cantò vittoria, e
riavute nelle mani le redini del
giornale, fece man mano ridi
scendere questo al libello del
"Fra Picozzo", brandendo di nuo
vo l'arma del ricatto, come effi
cace sistema per puntellare la ca
dente baracca.
Un vero regno del terrore ven
ne presto stabilito in colonia per
opera di Peppuccio e suoi com
plici. Nessun uomo d'affari, pro
fessionista o semplice lavoratore
venne risparmiato dal capo-bri
gante che infestava la colonia
con l'arma del giornale. Potrem
mo qui enumerare una quantità
di casi, comprovando il ricatto