La Rassegna B' Both Phones ANNO I. No. 7 Perche' ognuno lo sappia e lo comprenda Intraprendendo la pubblicazio ne di questo modestissimo foglio, avemmo a scrivere sole poche ri ghe di programma ; poche righe cioè che, nella loro brevità, com pendiavano sinteticamente tutto un passato di vita giornalistica nei rapporti della persona cui ne veniva indovinatamente affidata la direzione; passato che molti conoscono in mezzo alle nostre colonie, attraverso tante lotte, attraverso tanta buona opera spesa nell'interesse delle nostre masse immigrate. Altri avrebbero sentito il biso gno di scrivere un lungo pro gramma, dicente e promettente tante belle e grandi cose; noi in vece vi sapemmo prescindere de cisamente, sicuri come eravamo che il nome stimatissimo ed il passato indiscutibilmente valoro so nel campo giornalistico della persona scelta alla direzione di questo foglio potevano ben dire, e compendiare, in una sola parola, un grande programma, dalle in tenzioni sempre pronte ed ardite, dal fine lecito, dall'indagine acu ta. Sono appena pochi numeri che abbiamo messo fuori e, vuoi dal lato della compilazione, vuoi dal quello degli scottanti argomenti presi coraggiosamente a trat tare, il pubblico buono, quello cioè che è solito giudicare senza passione, ha già detta la sua parola a nostro riguardo. Stanno, peraltro, a dirlo elo quentemente tante e tante co se, non ultime le molte e lu singhieri dimostrazioni di simpa tia e le espressioni della più, sin cera congratulazione che ricevia mo quotidianamente sia a voce che per iscritto, non solo da gen te che risiede in città, ma anche dalla parte di quella risiedente in altri centri coloniali. Noi avemmo sempre il giusto, l'esatto concetto del diritto e del la libertà di stampa; di questo diritto ne usammo e ne usiamo tuttora nella giusta, nella dovuta misura, senza mai esorbitare per chè trascinativi da una passione cieca qualsiasi, da odio personale o da volontà incline a servire su pinamente la causa privata di chicchessia. Dove non vediamo propizia l'occasione di poter par lare, quando la quistione non ci sembra giusta, sia dal lato della moralità che da quello dell'inte resse pubblico, noi non interve niamo. Laddove però ci decidia mo a trattare un soggetto, a ban dire una crociata, lo facciamo nella piena buona fede anzitutto, poi nella sicurezza massima di a vere delle buone ragioni a soste gno della nostra tesi, oltre il fi ne di veramente giovare alla no stra comunità che va principal mente ad informare la nostra a zione, qualunque essa potesse es sere nei rapporti tra pubblico e giornale. Nessuno più della persona pre posta alla direzione di questo giornale può vantare in Colonia di avere sempre, sia dalle colon ne de "Il Pungolo Coloniale" pri ma, de "Il Pungolo" dopo, de "Il Risveglio" e deH"'Opinione del Popolo" fino a tempo fa, di avere intraprese campagne utilissi me nell'esclusivo interesse della IT ALI A N WEEKLY NEWSPAPER * Devoted to welfare and advancement of the Italiana in America S. LIBERATORE, Direttore Colonia. Due Consoli il Cav. , Maiori ed il conte De Constantin ■ polemizzarono a lungo con lui, Ì scrivendo e replicando onore ■ questo mai dato a nessun giorna ile delle nostre colonie, i intorno a certe quistioni riflet tenti l'autenticazione della firma negli atti notarili e l'ufficio lega le. Le polemiche si svolsero sulle colonne de "L'Opinione del Po polo", con tutta correttezza di linguaggio, con fine argomenta zione e, quello che più monta, con palese interesse ed intenzione da entrambe le parti a giovare il pubblico interesse. Tanto il Cav. Maiori, che il conte De Constantin ebbero a lodare, fino a congratularsi particolar i mente con lui, la condotta pole mica del nostro direttore il qua le, peraltro, seppe alla fine, nel la dovuta misura, avere ragione circa lo scopo obiettivo della po lemica. Tutto questo non avremmo vo luto ricordare a nostro vanto, siamo modesti noi, lo si sappia, tutto questo non avremmo mai notato su queste colonne, o ■ ve certe speciali condizioni di u na grande polemenica ingaggia tasi, non. ci lacererò uscire dal riserlx) più stretto che ci erava mo imposto dando vita a questo giornale. Quando si ha la disgrazia di trovarsi di fronte ad avversari semplicemente disonesti, che sa rebbero capaci di tutto pure di "salire sublimi" o mantenersi be ne su vergognosa arcione, certe note note e certi ricordi sono ne cessari, s'im])ongono addirittura, sarebbe un peccato grave non farli. Onde, seguitando, dobbia mo far notare che il direttore de "La Rassegna", Silvio Liberato re, quegli cioè che altri sogliono, solo per riempitivo i>ole mico, chiamare lo studen tello della terza classe elementa re, in quindici e più anni di stre < nuc e feconde lotte giomalisti -1 che, seppe dire sempre tanto be ne certe verità, a volta in modo rude, tal fiata violento ; mai però Ì da meritare una querela di libello Tutto questo sta e starà sempre a dimostrare della obiettività po sitiva, disinteressata e corretta all'istesso tempo nei rapporti di Silvio Liberatore. Seguitino, adunque, i suoi ne mici ad abbaiargli rabbiosamen toe alle calcagna; gli si dica sem pre quello che non è, che non è mai esistito; sarà questa la so la via per renderlo più caro, più » apprezzato in mezzo alle nostre , masse che egli ha sempre cercato di giovare per quanto le sue for • ze lo abbiano permesso. Egli è giornalista lottatore, corretto ed • indipendente. Quando asserisce ■ dimostra ; quando discute è uso rimanere in quei termini di coi • rettezza che i suoi avversari non i hanno mai saputo avere. Silvio Liberatore non studiò mai il vo cabolario del turpiloquio, arma > sempre pronta ad imbrandirsi da , quelli che si sentono impotenti per la giusta disquisizione, da quelli che, giudicando sempre gli I altri alla stregua delle loro colpe I e delle loro magagne, non sanno e Ì non possono entrare in azione se non con l'arma del mascalzone i bollato cento volte, cento volte ri- PHILADELPHIA, PA., SABATO, 19 MAGGIO 15)17 I pudiato e scacciato dal campo dei j buoni, degli onesti, dei gentiluo mini insomma. Tutto questo siamo noi de "La Rassegna", quest'è la figura mo rale di uomo e di giornalista del nostro direttore, disonesti a tut ta prova sono i nostri avversari. E quando abbiamo detto disone sti crediamo di aver detto tutto. Curiangiolo Riceviamo e pubblichiamo Egregio Sig. Direttore della "Rassegna" Philadelphia, Pa. La prego concedere ospitalità i nelle colonne del suo giornale, al , seguente deliberato del Concilio 1 Esecutivo Supremo : Ringraziandola sentitamente ed anticipatamente, Dev.mo F. Mancini, Supr. Segr. Ar. Il Concilio Esecutivo Supremo dell'Ordine Figli d'ltalia in Ame rica, nella seduta odierna, infor mato di una pubblicazione appar sa su di un settimanale di Phila delphia, contro il Grande Venera | bile dello Stato della Pennsylva nia, fratello Giuseppe Di Silve stro, sente il dovere di conferma re pubblicamente a questi tutta la sua stima e fiducia, incorag giandolo solo a sempre più perse verare nella cotanto apprezzata [òpera di bene a pVo della nostra Istituzione. Per il Supremo Concilio Il Seg. Arch. Supr. Francesco Mancini j ! Altri non darebbe, non avreb-1 be mai data ospitalità ad una co- j municazione di tal genere. "Noi ; siamo noi, onesti indipendenti per quanto potesse riflettere l'or- j dine" ; noi siamo sempre noi per quanto potesse dire di agone giornalistico. Gli On. del Supremo Concilio Ordine Figli d'ltalia cui abbiamo diretta una lettera-accusa contro il grande venerabile Giuseppe Di Silvestro, hanno creduto di scusare, assolvere pria che l'ac cusato si fosse difeso nei rappor ti dell'accusa istessa. Hanno vo luto cioè dimostrare di agire per ; prevenzione, senza riflettere he-1 ne che—come dissero i giuristi di ; ogni tempo—"la prevenzione è il | magior nemico della giustizia." Perchè non aspettare che il sig. Giuseppe Di Silvestro avesse presentate le sue discolpe per giudicarlo? Si è dato subito a ve dere, invece, che incondizionata mente, morbosamente, altri direbbero disonestamente, ma noi non vogliamo dirlo ad alcun i costo, si abbia avuto a difen-1 dere con antecipato interesse una I causa che andava e meritava in vece di essere ponderata a passi da pedanti, con tutta prudenza, oculatamente, ove per davvero si avesse avuto intenzione di parla re nell'interesse della grande i stituzione dell'Ordine Figli d'lta lia". Che cosa potranno domani, un giorno qualsiasi rispondere gli on. del Supremo Concilio Figli d'ltalia in merito all'obietto della quistione che abbiamo voluto, anzi che la necessità che ha voluto avessimo preso a trattare discutere, lo vedremo solo quan do sarà il caso di vederlo, ripro mettendoci di essere sempre o biettivi e sereni nelle nostre con clusioni. Ora, come ora, non possiamo che cortesemente ospitare il co municato del "Supremo Concilio O. F. d'l." e deplorare con tutta la suscettibilità dell'animo no stro la leggerezza con cui s'è volu to troppo affrettatamente dare un giudizio che andava, con mi gliori e precisi criteri, rimanda to ad altro tempo. Ritorneremo, sapremo ritoma re sull'argomento al prossimo Giuseppe Di Silvestro non e' soltanto ladro e truffatore volga re ma anche spergiuro e falsario Fu sempre nostra abitudine in giornalismo quella di lare sempre aceuse positive, basate sulla verità dei fatti e sulla inoppugnabilità di docu menti autentici ed irrefragabili. Dichiariamo ancora una volta che rifuggimmo , sempre e rifuggiamo tuttora dall'accusa vaga, po co o niente documentabile, dall'asserzione gratui ta dicente sempre di chi ha l'animo versato alla uiìfamazione ed alla calunnia. Ecco intanto il nuovo fatto cui vogliamo rife rirci: botto la data del 18 Marzo 1901, presso un giudice della Corte di Camden, N. J., il sig. Giu seppe Di Silvestro fece richiesta della cosidetta carta di cittadinanza. Per conseguire lo scopo, in conformità delle leggi che a quell'epoca vigevano nello Stato del New Jersey, egli, assistito da un ta !rc.» nome di Antonio Mecca, dichia rò, giurando, di risiedere al 30(i Kainsgh Av., della stessa città di Camden e di avere immigrato negli Stati Uniti quando era MINORENNE. Si noti che la condizione della residenza in una città del New Jersey e l'altra dell'avere immigrato in minore e tà erano essenzialmente richieste perchè l'acquisi zione del diritto alla cittadinanza potesse conse guirsi. in conseguenza di tale attestazione il signor Giuseppe Di Silvestro divenne cittadino degli Sta ti Uniti e poscia, in virtù di tale requisito, egli si fe ce anche autorizzare notaio per la contea e città di Philadclphia, ufficio questo che esercitò per di versi anni. Sta in fatto però che il 18 marzo 1901 il signor Di Silvestro non risiedeva in Camden, es sendo egli stato sempre a Philadclphia; come pu re non v'ha chi possa efficacemente contestarci che egli fosse venuto in America prima che, nel 18 Reggimento Artiglieria di stanza ad Aquila aves se INDOMITAMENTE servito il Re e la Patria; cioè a dire, venne egli in America quando contava dai ventiquattro ai venticinque anni di età. Sta pure in fatto che la "United States Fe derai Court" di Trenton, N. J., scoperta LA FAL SITÀ' nell'attestazione del Di Silvestro, con sen tenza 6 Maggio 1910 lo dichiarò SPERGIURO e decretò l'annullamento della sua carta di cittadi nanza. Che dire più di fronte a tanta eloquenza di fatti? Ogni comento lo riteniamo assolutamente fuori luogo, giacché partiamo dal principio che i nostri lettori, intelligenti abbastanza, potrebbero farcene grave torto. Ci troviamo, adunque, di fronte ad uno sper giuro e ad un falsario che non sappiamo perchè s'ebbe dalla Corte franca la galera. Potrebbe sem pre esservi mandato perchè certi delitti che invol vono le leggi federali sono imprescrittibili. Sper giuro e falsario da un lato, truffatore ed appro priatore indebito dall'altro. Il nome di Giuseppe Di Silvestro disonorato a base di fatti e non di chiacchiere, ci incomincerà, da oggi, a fare maggiore ribrezzo di quello che non ci fece pel passato. Questo nome parola no stra di giornalisti abituati a sentire dignitosamen te tutto il peso di una grande missione non fi gurerà più sulle colonne del nostro giornale giac : chè non merita di essere ulteriormente ono rato di discussione. Lo abbia sempre caro chi | numero; sieno accorti nel frat-i ' i tempo gli on. del Supremo Conci- ' ; lio a non votare altri voti di "fi j ducia, di stima e incoraggiamen i to" al sig. Giuseppe Di Silvestro. | La pasticca, anche se presa con gusto, avidità ed interesse po , trebbe fermarsi a metà gola e soffocare quindi, irrimediabil mente soffocare. La Rassegna ! vuole; l'incornici chi lo desideri "ad perpetua rei memorie"; per noi suonerà sempre nausea e ri brezzo; passerà esso alla storia delle nostre colo nie, d'ora innanzi, come u nnumero, così potrebbe dirsi di un recluso o di un ergastolano qualsiasi. La RASSEGNA PER NORMA E REGOLA del Supremo Concilio Ord. Figli d'ltalia Ricattatore di mestiere (Dall' "Opinione" di Phila., del 10 Febbraio 1910) "Mamma, è passato un calde- Ì ruio, emi Ha uetto: l'accia Un i tal". j ••Succede sempre così, figlia < mia: la mala femmina chiama t sempre disoneste tutte le donne j uei vicinato." i Quella mamma aveva ragione: cosi la anche Peppuccio, la mala i ìeininina della colonia di l'hila- i delpma, clie prende a manate le i proprie vergogne e tenta sempre j scaraventarle sul viso della gen- < te onesta. uopo aver esercitato in Ameri- i ca lasciamo andare le gesta i gloriose da lui commesse in Ita- i UH i mestieri più vili, come quello di andar vendendo la birra su di un carretto per sbarcare il lunario, ricorse finalmente alla professione del Figaro': ma il ra- : soio e il pennello, o gli pesavano i 0 non riuscì mai a saperli maneg- < giare. Allora l'eppuccio pensò j ; che la penna in America, fosse i un mestiere più facile a maneg- j giare che non il pennello, e, detto < l'atto s'improvvisò giornalista. < Incominciò questa nuova e ma- : laugurata carriera con un lurido j foglietto che sembrava la pelle 'di un rospo, la quale, a quanto si < .lice, sprizza veleno da tutti i po ri. 11 Dottor Tale era un ciarla- i tano, perchè negava l'avviso al < Fra l'icozzo; il banchiere Sem- ] pronio era uno sfruttatore e la- : dro, per la medesima ragione; e i perfino il povero operaio, non a- ] veva netta la fedina penale, era tradito dalla moglie, e chi sa : quanto altro ben di Dio, sol per chè aveva rifiutato l'abbonamen to al Fra Picozzo. Con siffatti metodi però Pep- : puccio ben presto si accorse che si riusciva a sbarcare molto me glio il lunario, che non con le for bici, rasoio e pennello. La barac ca difatti gli andò avanti a gon fie vele: il foglio lurido assunse una veste più pomposa e cambiò nome, come per far dimenticare il prio passato : ma se "Fra Picoz zo" aveva cambiato il pelo con servava però lo stesso vizio. E il nuovo organetto ricominciò la vecchia sonata. Un onestissimo banchiere venne, fra altri, preso di mira con gli stessi propositi con cui i grassatori si appiatta vano un tempo, dietro le roccie e 1 cespugli nella valle di Bovino. Posteriormente Peppuccio si è amaramente pentito di questa sua tentata grassazione ed ha messo in opera tutte le sue arti, per rientrare nelle grazie di quel banchiere che egli aveva tentato invano di accoltellare alle spalle. Quel banchiere pero' è stato uno dei pochissimi che abbiano sapu to tenere a bada la mala femmi na. Difatti ricordiamo che, allor quando nel 1908, dopo il disastro so terremoto di Messina, Peppuc coi si fece qui promotore di un co 5 soldi la copia UFFICIO : 920 So. lOth Street siddetto Comitato Coloniale per raccogliere dei fondi, penso clie, per riconquistare le grazie di quel bancniere, conveniva meen sario nominandolo, quantunque assente, come Aito Presidente di detto Comitato Coloniale. La nomina fu fatta dal Comi tato "Peppucciano" ed un'apposi ta delegazione, fra cui v'era an che l'esercente di una bisca, si reco' da quel banchiere a notifi cargli l'altissima nomina. Quel banchiere pero', il qualo non aveva la memoria così labi le come taluni altri, rifiuto* il non umuito onore, dando così a Peppuccio un memorabile schiaf fo morale. Tornando a bomba, ricordia mo come in quell'epoca, essendo sorta l'Opinione, Peppuccio si vi de perduto: e allora penso' di cer care degli alleati, e fuse il suo lu rido foglio con un altro settima nale, accettando perfino di passa re in sott'ordine. Nella nuova combinazione, il povero Peppuc cio si accorse ben presto che i suoi affari non andavano così be ne come una volta, ed allora non potendo far altro, si limito' a commettere, nella qualità di col lettore di quel giornale, alcune appropriazioni indebite per le quali, quantunque anche lui un forte azionista, venne ragionevol mente messo alla porta dal diret tore del giornale. Posteriormente pero' l'astuto Peppuccio, apjiena uscito dalle carceri dopo di avere scontata una piccola condanna per libello, seppe talmente briga re presso gli altri azionisti, che riuscì a farsi riammettere nell'a zienda di quel giornale, a patto che avesse rimborsate le appro priazioni da lui commesse, cosa che facilmente egli eseguì col ri cavato della colletta fatta dai suoi compari durante la di lui re clusione. Il Direttore però che, essendo un galantuomo ed avendo quindi a schifo il semplice contatto con un rettile di quella specie, per non più contrariare il volere de gli altri azionisti, preferì di ces sare di far parte di quell'azienda e lasciare il campo libero a Pep puccio. Costui cantò vittoria, e riavute nelle mani le redini del giornale, fece man mano ridi scendere questo al libello del "Fra Picozzo", brandendo di nuo vo l'arma del ricatto, come effi cace sistema per puntellare la ca dente baracca. Un vero regno del terrore ven ne presto stabilito in colonia per opera di Peppuccio e suoi com plici. Nessun uomo d'affari, pro fessionista o semplice lavoratort venne risparmiato dal capo-bri gante che infestava la colonia con l'arma del giornale. Potrem mo qui enumerare una quantità di casi, comprovando il ricatto